La Cina benedice Kim Jong-un
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La Cina benedice Kim Jong-un

La Cina benedice Kim Jong-un

Corea del Nord. L'endorsement arriva dopo la visita di Hu all'ambasciata nordcoreana a Pechino
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina dà via libera alla transizione politica nordcoreana nel segno della dinastia Kim.
«Kim Jong-un è una grande leader, un grande amico del popolo cinese, un grande sostenitore dello sviluppo del socialismo, che farà sicuramente un grande sforzo per pacificare la penisola coreana» ha detto ieri un portavoce di Pechino». L'ipocrisia è da sempre il miglior lubrificante delle relazioni diplomatiche. In questo frangente, la Cina ne ha usata in dosi copiose per ribadire un concetto fondamentale alla ristretta elite nordcoreana che in queste ore sta gestendo la difficile successione a Kim Jong-il: la Cina è favorevole all'ascesa al sacro soglio del terzogenito del Caro Leader scomparso sabato scorso.
L'endorsment a Kim Jong-un è arrivato subito dopo la visita di Hu Jintao all'ambasciata nordcoreana di Pechino, dove il presidente ha presentato le condoglianze ufficiali del Governo cinese che, tuttavia, non invierà una delegazione ufficiale ai funerali di Kim Jong-il in programma il 28 dicembre a Pyongyang.
Quando un regime imperniato sul culto della personalità perde il proprio capo carismatico, al suo interno si scatenano sempre feroci lotte intestine per accaparrarsi rendite e privilegi nei nuovi assetti di potere. Benché la casta politica nordcoreana stia mostrando un aspetto monolitico (lo dimostra l'abilità con cui la scomparsa del Caro Leader è stata tenuta segreta per ben 48 ore, cosa impensabile altrove al mondo con le tecnologie odierne), da sabato scorso a Pyongyang è sicuramente in corso un duro confronto tra fazioni opposte. Un confronto in cui i militari, garanti della stabilità e dell'ordine fin dalla fondazione della Repubblica Democratica, rappresentano l'ago della bilancia.
In questo quadro fragile e incerto, il placet a Kim Jong-un espresso ieri dalla Cina (l'unico Paese che ha continuato a sostenere incondizionatamente il regime di Pyongyang dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica) è ovviamente un passaggio cruciale nella crisi aperta oltre il 38esimo parallelo dalla morte improvvisa del tiranno con il pallino della bomba atomica che per 17 anni ha guidato la Corea del Nord con il pugno di ferro.
Il che, a questo punto, lascia pensare che per il delfino trentenne educato in Svizzera, con la passione del rock e della pallacanestro, totalmente inesperto di politica e di affari di Stato, la strada verso il potere sia ormai spianata.
D'altronde, la soluzione istituzionale è nell'interesse stesso del manipolo di oligarchi (oltre ai militari, la famiglia e i fedelissimi di Kim Jong-il, un pugno di alti burocrati, i dirigenti del Partito dei lavoratori e qualche faccendiere privato) che scalpita per conquistarsi un posto al sole nella terza era dei Kim. In assenza di regole scritte, infatti, il rispetto delle volontà del leader scomparso e il principio di successione dinastica rappresentano oggi l'unica fonte di legittimità della stessa cricca di potere nordcoreana. Il nuovo ordine, insomma, passa di necessità per la conservazione di quello vecchio.
La Cina sa bene quanto sarebbe rischiosa la rottura degli equilibri consolidati che, nonostante le numerose crisi che in oltre mezzo secolo hanno ciclicamente alzato la tensione nel Nord-Est asiatico, sono comunque riusciti a garantire la stabilità della Penisola coreana dal 1953 fino ai giorni nostri.
Una stabilità cui Pechino tiene più di ogni altro Paese al mondo. Per diverse ragioni. Perché un'eventuale implosione della Corea del Nord riverserebbe immediatamente un esercito di profughi (le stime parlano di almeno 50mila persone) oltre i confini cinesi, aprendo una crisi umanitaria di vasta portata. Perché il crollo dell'ultima cortina di ferro ancora esistente al mondo potrebbe condurre alla riunificazione delle due Coree, uno scenario molto sgradito al Dragone. E anche perché, grazie al condizionamento politico che la nomenklatura cinese è in grado di esercitare sul regime di Pyongyang, la stabilità della Corea del Nord è una carta che Pechino può sempre giocare a proprio piacimento in qualsiasi negoziato con gli Stati Uniti.
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Il confronto tra Seul e Pyongyang

21/12/2011
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