La Cina bacchetta gli Usa sul debito
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La Cina bacchetta gli Usa sul debito

La Cina bacchetta gli Usa sul debito

I volti della crisi. Alla vigilia del vertice bilaterale di Washington torna l'allarme per la sicurezza dei forti investimenti in titoli di stato americani
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Marco Valsania
NEW YORK
La Cina torna all'attacco degli Stati Uniti e delle loro politiche economiche e valutarie per affrontare la crisi, chiedendo garanzie sulla stabilità del dollaro e sulla sicurezza dei colossali investimenti di Pechino in titoli di debito americani. La presa di posizione, dai toni assai poco diplomatici, è giunta alla vigilia del primo appuntamento a Washington del dialogo strategico tra l'amministrazione Obama e il governo cinese, lunedì e martedì prossimo. Un dialogo ereditato dal predecessore di Obama, George W. Bush e che sotto il neopresidente democratico ha un'agenda ancor più ambiziosa e scottante: accanto al binario economico, negoziati paralleli affronteranno le sfide di politica estera, dal dossier nucleare a quello ambientale.
Gli interrogativi sulle strategie per fare i conti con recessione e bufera finanziaria, però, sono quelli che più preoccupano Pechino, che già a marzo aveva lanciato un allarme echeggiato sulle piazze internazionali. «Chiederemo di adottare politiche responsabili, che assicurino la stabilità del tasso di cambio del dollaro e proteggano gli asset cinesi», ha ribadito ieri l'alto funzionario del ministero delle finanze Zhu Guangyao. Che ha incalzato, oltre alla Casa Bianca, la Federal Reserve: «Come importanti investitori nel debito statunitense, siamo naturalmente preoccupati dello stato dell'economia americana. Speriamo che le politiche adottate dagli Stati Uniti si rivelino più efficaci il più presto possibile, che il deficit pubblico gradualmente diminuisca e che il bilancio della Fed migliori». Dalla banca centrale si attendono anche scelte corrette in politica monetaria. Accanto al governo, la Fed ha agito con inedita aggressività, a colpi di misure multimiliardarie, per arginare la crisi e l'espansione dei suoi interventi ha sollevato perplessità sulle sue stesse finanze e sulla sua credibilità di guardiano anti-inflazione.
Il governatore Ben Bernanke, durante le testimonianze al Congresso terminate ieri, è parso voler rispondere indirettamente al nuovo monito cinese: si è detto impegnato a rassicurare i mercati sull'intenzione della Fed di ritirare con tempismo, seppur non subito, il sostegno straordinario offerto alla finanza e all'economia. La Fed, ha promesso, saprà evitare rischi inflazionistici, che potrebbero danneggiare anche il dollaro.
La Cina, di sicuro, ha diritto di parola: è il più grande creditore americano, forte di oltre 800 miliardi in titoli del tesoro, una cifra salita ancora del 5% in maggio. Circa il 70% delle sue immense riserve in valuta estera, le più vaste al mondo dall'alto (oltre duemila miliardi), è in asset denominati in valuta statunitense. E ieri Guangyao ha sottolineato che la Cina si augura che i suoi acquisti di titoli del tesoro si rivelino «appropriatamente redditizi». Pechino è inoltre il secondo partner commerciale degli Stati Uniti, con un interscambio che l'anno scorso ha sfiorato i 334 miliardi di dollari, cresciuto di 130 volte dal 1979, da quando cioè i due paesi hanno ristabilito relazioni diplomatiche. E di recente la sua economia ha ritrovato slancio, dando ancor più peso al ruolo della Cina di potenza globale.
La delicatezza dell'appuntamento bilaterale del 27-28 luglio affiora fin dal programma ufficiale: a inaugurarlo sarà Obama. Che cederà poi il timone del "dialogo" ai co-presidenti del summit: il ministro del tesoro Tim Geithner e l'esponente del consiglio di stato cinese Dai Bingguo sul fronte economico; il ministro degli esteri Hillary Clinton, reduce da un viaggio asiatico, e il vipremier Wang Qishan per il binario politico. La delegazione cinese sarà affollata, composta da ben 28 esponenti a livello ministeriale. Il vertice nella sua versione allargata, Us-China Strategic and Economic Dialogue (S&ED) con scadenze semestrali a Washington o Pechino, è stato ideato lo scorso aprile da Obama e dal presidente cinese Hu Jintao. Fa seguito a forum nati nel 2005 sotto gli auspici dell'amministrazione Bush e dell'allora ministro del tesoro John Snow, volti esclusivamente a facilitare rapporti costruttivi sull'economia. In vista dei colloqui di quest'anno, invece, il viceministro degli Esteri cinese He Yafei ha messo in chiaro che altri temi saranno in discussione: dalla cooperazione energetica, con il nodo dell'effetto serra, alla Corea del Nord, con i suoi arsenali atomici. Alla Casa Bianca Pechino non avrà remore neppure a chiedere di «limitare le attività» di Rebiya Kadeer, leader in esilio degli Uiguri.
mvalsania@ilsole24ore.com
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Dialogo allargato
Il dialogo strategico tra Stati Uniti e Cina è stato inaugurato dall'amministrazione Bush nel 2005. I vertici con cadenza semestrale a Pechino e a Washington sono stati aperti dall'allora segretario al tesoro John Snow (nella foto, poi sostituito da Henry Paulson nel 2006, prima che il testimone passasse a Tim Geithner con l'insediamento di Obama alla Casa Bianca)
Originariamente il dialogo era limitato alle questioni econmiche. Il presidente Obama ha però allargato il campo alla politica

Interessi cinesi
A maggio, le riserve valutarie di Pechino hanno raggiunto la cifra record di 2.130 miliardi di dollari. Sebbene le autorità cinesi non ne dichiarino la composizione (limitandosi a comunicare il totale in dollari), si stima che circa il 70% del totale sia in attività denominate in moneta statunitense
Sempre a maggio, la Cina ha aumentate di 38 miliardi di dollari la quota di treasuries Usa in suo possesso, portandola a 810,5 miliardi
Tra gennaio e maggio, il deficit commerciale americano verso la Cina ha raggiunto quota 84,6 miliardi di dollari

23/07/2009
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