La Cina accelera la diversificazione
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La Cina accelera la diversificazione

La Cina accelera la diversificazione

MERCATI E RISPARMIO - Le reazioni al declassamento Usa
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TOKYO. Dal nostro inviato
Primo: accelerare la diversificazione delle riserve valutarie, in particolare sostenenendo l'euro come divisa di un polo economico-commerciale alternativo agli Usa, per di più destinato a restare un nano politico-militare. Secondo: investire una maggiore quantità di dollari a rischio svalutazione in "hard asset", ossia in miniere e campi petroliferi dall'Africa all'Australia e all'America Latina. Terzo: promuovere con un sempre maggior numero di paesi un commercio bilaterale basato su accordi di swap valutario e, in questo contesto, spronare l'internazionalizzazione dello yuan. Quarto: spingere sull'acceleratore di una integrazione economica asiatica, che tagli fuori gli Usa. Quinto: stimolare meglio il processo in corso finalizzato a ricalibrare una economia interna ancora troppo dipendente dall'export e dagli investimenti di capitale. Sesto: cercare i modi per investire nel debito corporate americano, e possibilmente nel capitale di società, anche in America, o addirittura provare a richiedere una sorta di conversione dei titoli finanziari in partecipazioni in attività reali. Infine, invocare una supervisione internazionale sul dollaro in attesa del momento giusto per rilanciare il progetto di varare una moneta di riserva alternativa, già circolato, ad esempio attraverso una valorizzazione dei diritti speciali di prelievo di un Fondo Monetario in cui il peso specifico dei paesi emergenti è appena aumentato e crescerà ancora.
Sono queste le idee rilanciate ieri da una stampa cinese scatenata o da vari economisti, accademici ed ex alti funzionari, nel giorno in cui la Borsa di Shanghai _ dopo il clamoroso declassamento del debito sovrano Usa da parte di Standard & Poor's _ ha accusato il peggior calo del 2011 (-3,8%) ripiegando ai livelli di un anno fa. Se i media hanno ripreso a scagliarsi con violenza verbale contro Washington, su tutto è spiccato l'eloquente mutismo a livello ufficiale e il contrasto di atteggiamenti tra il primo e il secondo creditore degli States.
Il ministro delle Finanze giapponese Yoshihiko Noda si è affrettato a rilasciare dichiarazioni rassicuranti ( «La fiducia dei mercati nel dollaro e nei Treasuries non è venuta meno») che sono suonate un po' surreali mentre le Borse regionali andavano in picchiata: Tokyo ha lanciato il messaggio che sarà l'ultimo a vendere, tanto più che il suo interesse primario è sostenere il dollaro e deprimere lo yen.
Pechino si è guardata bene sia da dichiarazioni formali di sostegno (che avrebbero deliziato gli investitori) sia da minacce dirette di disimpegno che, se provenienti da fonte ufficiale, avrebbero generato terrore e panico, con un effetto autolesionista non solo per la diminuzione di valore degli asset in dollari ma per gli effetti sull'economia cinese provocati da una eventuale nuova crisi finanziaria globale. Un esplicito supporto al biglietto verde è venuto invece da Hong Kong, dove il capo dell'Autorità monetaria, Norman Chang, ha escluso nel modo più assoluto che l'ex città-stato possa disancorare il suo dollaro da quello americano.
E' loquace chi non impegna il governo ma ne rivela gli umori. In un saggio diffuso ieri ai giornalisti, Zhan Ming, studioso dell'Accademia Cinese di Science Sociali, afferma che il declassamento Usa e la prolungata lotta politica a Washington sul tetto del debito comporta una «lezione profonda» per la Cina, che non potrà d'ora in poi che diversificare dalle attività in dollari, in particolare acquistandone di più in euro e in yen; quanto agli asset in divisa Usa, bisognerà cercare di impegnarli meno in Treasuries e più in obbligazioni societarie o in equity. Uno scenario che sa in parte di "wishful thinking": difficile pensare che gli Usa permettano un raid generalizzato sulla "Corporate America", mentre anche i giapponesi si oppongono _ in quanto in grado di esasperare i rialzi dello yen _ a ogni rilevante incremento di acquisti cinesi di bond (già alcuni mesi fa hanno "chiesto spiegazioni", ossia protestato). Gli europei li accoglierebbero invece a braccia aperte, così come hanno visto con favore la disponibilità cinese già manifestata ad acquistare titoli dell'estrema periferia barcollante dell'Eurozona, che Pechino non ha mancato di inquadrare come dimostrazione della sua "responsabilità" di grande investitore internazionale (in contrasto con l'"irresponsabilità" americana). Secondo Cheng Siwei, in passato vicepresidente del Parlamento, la migliore strategia per Pechino sarebbe quella di adottare una politica inerte, senza comprare Treasuries ma nemmeno venderli, il che faciliterebbe automaticamente una maggiore diversificazione visto che la Cina continua ad accumulare riserve grazie al suo surplus commerciale. Chen si è mostrato pero' scettico sul fatto che Pechino possa comprare grandi quantità di debito europeo, tanto più che non gradisce mai che sulle questioni economico-finanziarie aleggino ombre politiche. Del resto, il Quotidiano del Popolo _ parlando ovviamente a orecchie asiatiche _ se l'è presa ieri anche con l'Europa, mettendo nel calderone il sistema democratico occidentale come un fattore che aggrava i problemi economici attuali dei paesi avanzati. Di nuovo, ieri, sono emersi segnali di un rinnovato attivismo diplomatico di sapore anti-americano. Pechino presenterà in modo congiunto con Tokyo al vertice asiatico di venerdì prossimo in Indonesia una proposta per accelerare l'integrazione economica regionale, con la creazione di gruppi di lavoro su commercio e investimenti. Un funzionario del Meti a Tokyo ha detto che sarà la prima volta che Cina e Giappone mettono sul tavolo un progetto relativo alla creazione di un Free Trade agreement regionale. Ma non sarà precisato quale Fta dovrà essere perseguito: Pechino vuole limitarsi all' "Asean più tre" (con Cina, Giappone, Corea), mentre Tokyo, per diluire l'influenza cinese, preferisce un'"Asean più sei", con l'aggiunta di Australia, Nuova Zelanda e India. Gli Usa, fautori dell'Apec e sospettosi di ogni iniziativa asiatica che li escluda, ne saranno sicuramente irritati.

09/08/2011
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