L'obiettivo è ridare fiducia ma potrebbe non bastare
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L'obiettivo è ridare fiducia ma potrebbe non bastare

L'obiettivo è ridare fiducia ma potrebbe non bastare

L'ANALISI
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«La nostra Borsa è come una roulette», sentenziò una decina di anni fa un famoso economista cinese cercando di mettere in guardia dai rischi dell'investimento azionario in un mercato sregolato, manipolato e poco trasparente.
Oggi, mentre gli indici di Shanghai e Shenzhen annaspano faticosamente intorno agli stessi livelli di allora, la Borsa cinese continua a essere una roulette. Dove a vincere è sempre il banco, cioè le aziende di Stato mastodontiche e inefficienti che continuano a rastrellare quattrini sul mercato senza mai doverne dar conto ai propri azionisti.
Sebbene il parco buoi abbia la memoria corta, le ripetute scottature lasciano il segno. È questa, probabilmente, una delle ragioni per cui oggi il listino di Shanghai - dopo innumerevoli alti e bassi - langue ai minimi degli ultimi trenta mesi dopo aver perso quasi il 17% dall'inizio del 2011. Gli investitori hanno smesso di comprare perché non si fidano più di una Borsa che, nonostante le tante promesse (avrebbe dovuto eclissare Hong Kong e Singapore e diventare la principale piazza finanziaria asiatica), continua a funzionare secondo le regole di un grande gioco d'azzardo.
Ieri, dopo aver assistito impassibile per mesi al progressivo sgretolamento del listino nazionale, il croupier ha deciso finalmente di intervenire. Pechino ha chiamato a rapporto i vertici del fondo sovrano, e gli ha chiesto esplicitamente di acquistare a mani basse le azioni delle quattro grandi banche di Stato. L'obiettivo è chiaro: stabilizzare i corsi azionari e riportare fiducia sul mercato. Era dal 2008, quando i mercati finanziari internazionali erano nel pieno della tormenta, che Central Huijin non scendeva in campo direttamente per sostenere la Borsa. Il che dimostra che la situazione è critica. Non solo perché il listino di Shanghai sembra incapace di arrestare la sua marcia del gambero, ma anche perché il quadro generale non è dei più confortanti. Al di là della profonda sfiducia diffusa tra gli investitori, infatti, il ripiegamento dell'indice è legato anche ad altri fattori: la stretta monetaria iniziata nell'estate 2010; la crisi debitoria europea; i timori di una recessione mondiale che finirebbe per penalizzare le esportazioni cinesi; il rischio bolla immobiliare. E a queste preoccupazioni di recente se ne aggiunta un'altra che terrorizza letteralmente il mercato: l'incertezza sull'entità del debito pubblico e privato accumulato da Pechino negli ultimi anni, di cui solo ora il Governo inizia a parlare pubblicamente snocciolando cifre da capogiro.
Basterà il deciso intervento di Central Huijin a puntellare la scricchiolante Borsa Rossa? Teoricamente sì, poiché l'andamento del listino cinese dipende più dalle aspettative sulle prossime mosse del Governo che dalle aspettative sugli utili societari. I precedenti, tuttavia, non sono confortanti: nel settembre 2008, gli acquisti del colosso finanziario statale infiammarono la Borsa per un paio di sedute, ma poi il mercato fu assalito nuovamente dalla depressione.
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11/10/2011
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