L'industria cinese chiude l'anno in frenata
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L'industria cinese chiude l'anno in frenata

L'industria cinese chiude l'anno in frenata

Congiuntura. L'indice Pmi a dicembre segnala ancora una contrazione anche se è in leggero miglioramento
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina chiude il 2011 con un dato poco incoraggiante per il futuro: a dicembre l'indice Pmi elaborato dalla Hsbc è rimasto in territorio negativo attestandosi a quota 48,7 punti, in leggero miglioramento rispetto a novembre, ma pur sempre sotto la soglia critica dei 50 punti (sopra questo livello l'attività manifatturiera è in una fase espansiva, mentre al di sotto è in fase di contrazione).
Il segno negativo del Purchasing Managers Index di dicembre è l'ennesima conferma del rallentamento dell'economia cinese iniziato verso la metà dell'anno. Un rallentamento che è stato causato da una miscela di fattori: la debolezza della domanda globale che ha ridotto le esportazioni di prodotti made in China; la politica monetaria ultra-restrittiva varata dalla People's Bank of China per combattere l'inflazione che ha finito per strangolare le pmi; la flessione del settore immobiliare.
Con uno scenario congiunturale mondiale dominato da una profonda incertezza, gli scricchiolii che arrivano dalla Grande Muraglia sollevano un interrogativo inquietante: l'economia cinese rischia un atterraggio duro? Probabilmente no, risponde in coro la maggior parte degli esperti. Nel 2012 accuserà sicuramente una flessione rispetto al 2011 (nei primi tre trimestri dell'anno, il Pil è aumentato del 9,7, del 9,5 e del 9,1%), ma la discesa sarà morbida e graduale e non avrà impatti negativi sulla stabilità del Paese. Insomma, nel 2012 l'economia del Dragone continuerà a crescere a un ritmo superiore all'8%, il livello di guardia sotto il quale il gigante asiatico rischia di andare in crisi perché non riesce più a tenere in equilibrio il mercato del lavoro.
L'ottimismo degli esperti è dettato da due considerazioni. La prima è di natura politica. A ottobre, il Congresso del Partito comunista cinese nominerà la nuova leadership che dovrà governare il Paese nei prossimi dieci anni. Sebbene i giochi siano già fatti da tempo (Xi Jinping sostituirà Hu Jintao alla presidenza, mentre Li Keqiang raccoglierà il testimone di premier da Wen Jiabao), si tratta di un passaggio epocale e Pechino farà di tutto perché la grande transizione al potere dalla Quarta alla Quinta generazione si svolga in un clima di massimo ordine.
L'altra è legata ai fondamentali economici. È vero, oggi la Cina non scoppia più di salute: il debito pubblico è aumentato notevolmente e, per la prima volta dopo un ventennio di politiche fiscali generose ed espansive, impone a Pechino dei vincoli di bilancio sempre più rigorosi; la bolla immobiliare ha iniziato a sgonfiarsi, e nessuno è in grado di prevedere quali saranno gli effetti dell'atteso ridimensionamento dei prezzi del mattone; l'inflazione, fino all'estate scorsa nemico numero uno del Governo, continua a covare sotto la cenere.
Ciononostante, la nomenklatura cinese ha ancora un discreto margine di manovra per pilotare l'economia verso un atterraggio morbido. Un fatto è certo: se nel 2012 il quadro congiunturale dovesse volgere al peggio, magari a causa di una brusca gelata del commercio estero, il Governo non esiterà ad aumentare la spesa pubblica e ad allentare la politica monetaria per sostenere la domanda interna. E forse, di fronte a uno yuan che nel 2011 si è apprezzato del 4,7% sul dollaro, Pechino potrebbe anche non resistere alla tentazione di riaggiustare al ribasso il cambio della propria moneta per ridare fiato alle esportazioni.
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31/12/2011
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