L'India corteggia Myanmar
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L'India corteggia Myanmar

L'India corteggia Myanmar

Far east. Tappeto rosso per la visita del generale Than Shwe, il dittatore che guida la giunta militare birmana
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NEW DELHI
Lui è Manmohan Singh, il professorale, riservato e ben voluto primo ministro dell'India, la più grande democrazia del mondo. L'altro è il generale Than Shwe, lo spietato uomo forte del regime militare di Myanmar, la ex Birmania. In un mondo ideale sarebbe difficile trovare una coppia più improbabile. Nella realtà dello scacchiere geopolitico dell'Asia del sud le cose stanno diversamente. La visita indiana, da domani a giovedì, di uno dei più impresentabili dittatori del pianeta è lì a dimostrarlo.
I motivi che spingono New Delhi a srotolare il tappeto rosso davanti agli stivali di «un generale vanaglorioso e senza cuore, con il petto pieno di medaglie che si è conferito da sé, ma troppo codardo per affrontare delle elezioni oneste» (il copyright è di Foreign Policy) sono molteplici. E hanno a che fare tanto con il presente - ovvero con gli equilibri di potere asiatici che vengono riscritti giorno per giorno dall'ascesa di India e Cina - quanto con il passato, ovvero con la difficile convivenza tra New Delhi e il cosiddetto North East, le sue instabili e povere regioni nordorientali ereditate dall'impero britannico.
Dei due temi quello dominante sarà il primo. «La crescente influenza cinese in un paese strategicamente importante come Myanmar è una significativa fonte di preoccupazione per il governo indiano«, spiega R. Swaminathan, presidente dell'International institute for security & safety management, un think tank di New Delhi. «Fare finta di nulla significherebbe mettere in pericolo la sicurezza nazionale». A spingere New Delhi verso l'instaurazione di rapporti più stretti con la ex Birmania sono i massicci investimenti cinesi nel paese, le forniture militari al regime e la protezione fornita da Pechino alla giunta in sede Onu.
Se la charm offensive cinese si limitasse a Myanmar, in India forse ci sarebbe meno allarme. Ma secondo la cosiddetta String of pearls theory, la "Teoria del filo di perle", Pechino starebbe stringendo l'India in una morsa. «La Cina è alleata del Pakistan, dove ha finanziato la nascita del porto di Gwadar», spiega David I. Steinberg, distinguished professor della School of foreign service della Georgetown University di Washington. «E ha fatto altrettanto in Sri Lanka (dove ha prestato i soldi per costruire lo scalo marittimo di Hambantota, ndr) e in Bangladesh, con il porto di Chittagong. Non si tratta di basi militari, certo. Ma sono tutti punti di accesso all'Oceano indiano di un paese che si sta dotando di una flotta militare d'alto mare. Per chi sta seduto a Pechino - prosegue Steinberg - l'India è un potenziale rivale regionale. Ma per chi sta a New Delhi la Cina è una minaccia». Di qui la scelta di una politica di containment.
L'altro motivo d'interesse indiano ha a che fare con ragioni di politica interna. «New Delhi - spiega Steinberg - ha deciso di investire oltre 100 milioni di dollari nel porto birmano di Sittwe, così da collegare per via fluviale il suo nord-est con la Baia del Bengala». L'obiettivo è di contribuire allo sviluppo di una regione attraversata da un gran numero di insurrezioni alimentate, almeno in parte, dallo scarso interesse di Delhi per la regione.
Steinberg e Swaminathan concordano sul fatto che fino a oggi New Delhi sia riuscita solo in parte a capitalizzare sulla sua nuova politica di engagement verso la ex Birmania (la corsa per il gas per il momento è stata vinta dalla Cina). Ma dare per scontato che le cose debbano restare così potrebbe essere un errore. Pechino sta costruendo un gasdotto e un oleodotto in Myanmar per ridurre la propria dipendenza da quel collo di bottiglia che è lo Stretto di Malacca, da dove oggi passa l'80% delle risorse energetiche consumate in Cina. «Installare un oleodotto non è come aprire delle fabbriche tessili che possono essere smantellate dall'oggi al domani», spiega Steinberg. Le opere infrastrutturali cinesi sono un segno tangibile della dipendenza di Pechino da Myanmar, «un paese troppo nazionalista per diventare uno stato-paria», spiega il professore americano. Segno che domani il generale Than Shwe potrebbe sentirsi abbastanza sicuro di sé da corteggiare anche New Delhi. Il programma del suo viaggio, che lo porterà da Hyderabad (una delle capitali dell'It e della farmaceutica) a Jamshedpur (la Tata City), lascia immaginare che nel futuro di Myanmar l'industria indiana non giocherà un ruolo di secondo piano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

24/07/2010
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