L'avvertimento di Wen: subito riforme o sarà crisi

SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina deve avviare urgentemente una profonda riforma del proprio sistema politico che, in questi anni di tumultuoso sviluppo, non è riuscito a seguire l'evoluzione del sistema economico e della società reale.
«Siamo giunti a un momento cruciale: senza le riforme politiche, il Paese corre il rischio di rivivere tragedie come quelle della Rivoluzione Culturale» ha ammonito ieri Wen Jiabao durante la rituale conferenza stampa che ha chiuso i lavori della sessione annuale dell'Assemblea nazionale del popolo.
Una conferenza stampa fiume - l'ultima da premier, poiché il prossimo ottobre Wen passerà il testimone al suo successore designato, Li Keqiang - durante la quale il primo ministro cinese ha passato in rassegna tutti i grandi nodi che oggi condizionano lo sviluppo futuro cinese.
Eccoli. La crisi della domanda mondiale che, riducendo le esportazioni dei prodotti made in China, ha costretto il Governo a ridurre il tasso programmatico di crescita per il 2012 al 7,5%, il livello più basso degli ultimi otto anni. La bolla immobiliare che minaccia d'innescare una crisi sistemica del sistema bancario domestico, lo yuan che, dopo essersi rivalutato del 25% sul dollaro dallo sganciamento dalla moneta americana avvenuto nel 2005, «è ormai vicino al suo punto di equilibrio».
Ma il piatto forte dell'appuntamento annuale di Wen con la stampa è stato sicuramente quello delle riforme politiche. Durante i suoi nove anni trascorsi al potere, non è la prima volta che il premier cinese affronta pubblicamente la delicata questione. Il fatto, però, che abbia deciso di rispolverarla proprio nella sua ultima apparizione da premier sul palco del Parlamento cinese ha un significato molto particolare, quasi simbolico.
Agitando il fantasma della Rivoluzione Culturale è come se il premier uscente avesse voluto consegnare il suo testamento politico alla Quinta Generazione di comunisti che il prossimo autunno, in occasione del Diciassettesimo Congresso del partito, salirà sulla plancia di comando di Pechino.
Un testamento che, in estrema sintesi, si può sintetizzare in una necessità storica ormai ineludibile: il sistema autocratico che negli ultimi trent'anni ha consentito alla Cina di diventare la seconda economia del pianeta, di affrancare centinaia di milioni di persone dalla povertà, di candidarsi a nuova superpotenza globale, ha esaurito la sua spinta propulsiva.
Con il risultato che sempre più ampie porzioni della società cinese non si ritrovano più rappresentate dal partito unico. Se quest'ultimo non comprenderà la portata del cambiamento in atto, è il monito lanciato da Wen, la Cina potrebbe rischiare perfino un'involuzione drammatica e sanguinosa come quella sperimentata nell'ultima fase dell'era maoista.
Insomma, provate a fare voi quello che non siamo riusciti a fare noi, ha detto il premier uscente ai suoi successori. Facile a dirsi, assai più difficile a farsi. L'evoluzione politica del Paese durante il decennio di potere dell'attuale leadership è lì a dimostrarlo: nonostante i tanti proclami, nella primavera 2003, quando Wen Jiabao e Hu Jintao raccolsero il testimone dalla Terza Generazione di comunisti, il grado di maturazione democratica e liberale della Cina era pressoché identico a quello di oggi.
Il che solleva un interrogativo inquietante: se la nomenklatura uscente non è riuscita ad avviare una benché minima trasformazione del sistema politico mentre l'economia cresceva a tassi a doppia cifra, come farà la futura leadership ad avviare le grandi riforme istituzionali di cui il Paese ha bisogno in un quadro congiunturale che negli anni a venire ha ottime probabilità di essere assai meno brillante rispetto al recente passato?
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15/03/2012