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Con Marchionne, diventato amministratore delegato di Chrysler oltre che di Fiat, sono partiti per gli Usa anche altri manager del Lingotto, da Alfredo Altavilla a Pietro Gorlier; altri fanno la spola tra le due sponde dell'Atlantico, come il responsabile dello sviluppo Harald Wester; il tutto mentre numerosi manager Chrysler sono sbarcati a Torino e dintorni per impadronirsi dei metodi Fiat per poi travasarli a Detroit. Tutti stanno lavorando alla riorganizzazione di Chrysler e, non meno importante, all'integrazione – industriale e di prodotto – con la Fiat.
Per quanto riguarda il primo punto, l'obiettivo è di trapiantare nelle fabbriche dell'alleato Usa i principi del World Class Manufacturing; per il secondo, il piano industriale dovrebbe essere approvato da un Cda a fine mese. Proprio per questo, Marchionne ha passato e passerà la maggior parte di questo settembre (a parte l'apparizione a Francoforte) a Detroit. Sui contenuti, per ora, si hanno solo indiscrezioni. Come il fatto che la 500 verrà prodotta nell'impianto Chrysler di Toluca, in Messico; o che i canadesi sperano che la futura ammiraglia Alfa Romeo esca anche dalle catene di montaggio di Brampton, in Canada.
Di pari passo con lo studio delle possibilità di cooperazione con Torino, Chrysler sta intanto sciogliendo le alleanze con altri costruttori: dopo quella con Nissan è saltata anche quella con Hyundai e Mitsubishi nei motori; la casa americana ha riacquistato le quote dei due partner asiatici.
L'avventura Chrysler, la crisi dei mercati a partire dall'autunno scorso e il peggioramento dei conti hanno indotto la Fiat – come del resto molte concorrenti – a congelare gran parte degli investimenti, sia in joint venture come quella serba con Zastava, sia in nuovi prodotti. Il salone di Francoforte ha visto la presentazione della Punto Evo, evoluzione della Grande Punto lanciata quattro anni fa; l'Alfa Romeo Milano, erede della 147, arriverà nella prima metà l'anno prossimo (dovrebbe essere presentata al salone di Ginevra).
L'impegno di quest'estate a tempo quasi pieno sulla Chrysler non ha impedito a Marchionne di volare in Estremo oriente per stringere un accordo quadro – firmato poi ai primi di luglio a Roma – con la cinese Guangzhou Auto Company (Gac); l'intesa dovrebbe costituire la base per il ritorno del Lingotto in Cina, un ritorno tanto più urgente ora che il mercato asiatico ha ormai superato quello americano, diventando (secondo alcuni analisti definitivamente) il primo al mondo. L'investimento per un nuovo stabilimento a Changsha, 400 milioni, non è enorme: Volkswagen ha annunciato qualche giorno fa che investirà 4 miliardi in Cina entro il 2011, con l'obiettivo di raddoppiare le vendite, portandole a due milioni di auto. Fiat in una prima fase prevede una capacità di 140mila autovetture e 220mila motori l'anno. L'obiettivo è produrre la Linea e i motori Fire 1.4 T-Jet da 120 e 150 Cv, con l'avvio della produzione previsto per la seconda metà del 2011.
Le due joint venture con Chrysler e Gac hanno già prodotto un risultato congiunto: l'azienda di Detroit e quella cinese hanno infatti firmato a fine agosto un accordo in base al quale i Suv Jeep saranno anch'essi prodotti a Changsha dal 2011.
La mossa americana e quella cinese rilanciano il Lingotto sui due maggiori mercati mondiali e garantiscono (insieme alla solida posizione in Brasile) le migliori prospettive di crescita. Visti però l'infelice esperienza con la Nanjing e i due anni di trattative infruttuose con la Chery, la prudenza su tempi e obiettivi, soprattutto in Cina, è d'obbligo. Lo stesso vale se si guarda a tempi e modalità delle maggiori intese e joint venture discusse o siglate nell'era Marchionne: quella con Tata in India, siglata oltre tre anni fa, sta solo ora entrando a regime.
andrea.malan@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
22/09/2009
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