Pechino, 27 gen. - Atene è alla ricerca di finanziamenti per il suo debito pubblico in drammatica ascesa e sta cercando aiuto oltre la Grande Muraglia: la banca d'investimenti USA Goldman Sachs sta mediando con la SAFE (State Administration of Foreign Exchange), che gestisce i 2400 miliardi di dollari di riserve in valuta estera nei forzieri di Pechino, per l'acquisto di buoni del tesoro greco per 25 miliardi di dollari. Al momento, secondo quanto riportato dal Financial Times, la Cina non ha accettato la proposta e la Grecia ha rifiutato l'ipotesi di un ingresso di una banca cinese in National Bank of Greece, la principale banca del paese, con una quota strategica. George Papacostantinou, ministro delle Finanze greco, visiterà la Cina il mese prossimo, ma secondo numerosi osservatori e analisti la SAFE, le cui riserve in valuta estera sono aumentate di 130 miliardi di dollari solo nell'ultimo trimestre 2009, deterrebbe già una quota rilevante del debito greco e non sarebbe interessata ad acquistarne una cifra così pesante. L'accordo, eventualmente, potrebbe arrivare per somme più contenute. Anche sul fronte bancario le trattative sembrano complesse: la proposta di ingresso in NationalBank of Greece, oltre che a Bank of China (terza banca del paese), sarebbe stata rivolta anche al fondo sovrano China Investment Corp, che non ha al momento rilasciato commenti ufficiali. Nonostante un primo set di bond a tasso fisso per cinque anni messo in vendita lunedì abbia attirato investimenti di gran lunga superiori al previsto (25 miliardi di euro contro i 5 preventivati), la Grecia continua a essere sotto pressione da parte degli altri partner europei, essendo l'unico membro "vulnerabile" dell'eurozona a presentare sia un alto debito che un elevato deficit fiscale. Atene, quest'anno, ha bisogno di circa 53 miliardi di euro per finanziare il suo debito e la soluzione cinese potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio: se da un lato, infatti, il Dragone è estremamente interessato ad alcuni asset di pregio, primo tra tutti il porto del Pireo, dall'altro proprio la presenza di Pechino aveva causato malumori tra i greci negli scorsi mesi. La cinese Cosco, quinto terminalista al mondo per movimentazione di container, aveva concluso nel 2008 un accordo per controllare i moli 2 e 3 del Pireo per 35 anni a partire dall'ottobre 2009 al costo di 4.3 miliardi di dollari,provocando però lo sciopero dei portuali greci, contrari alla privatizzazione. La protesta sembra rientrata, ma un più pesante ingresso cinese in Grecia non mancherebbe di rinsaldare la presa su un asset come il Pireo, così importante per il Dragone: Pechino, infatti, esporta per mare il 90% delle sue merci e il Pireo presenta costi più contenuti rispetto ai porti del Nord Europa e potrebbe presto godere, via Balcani, di un migliore collegamento alla rete ferroviaria europea. Ma il porto greco è solo un tassello di una strategia cinese più ampia, che punta, attraverso la costituzione di joint venture e alleanze o con l'acquisto di quote dei terminal, a penetrare nel Mediterraneo tramite i principali porti europei e nordafricani.