Nelle stesse ore in cui Pechino si prepara a festeggiare il Capodanno Cinese, Teheran celebra un 31esimo anniversario della Rivoluzione islamica nel segno della tensione: sono passati solo due giorni dall'avviamento della produzione di uranio arricchito al 20 per cento nell'impianto di Natanz, e mentre l'opposizione interna si fa sentire per le strade, sul fronte internazionale l'Iran appare sempre più isolato. A frenare le sanzioni che numerosi paesi occidentali vorrebbero applicare contro la Repubblica Islamica c'è proprio il Dragone: il portavoce del ministero degli Esteri Ma Zhaouxu ha spiegato martedì scorso che la Cina "auspica che le parti in causa aumentino gli sforzi e spingano per un progresso in direzione del dialogo nei negoziati". Secondo una dichiarazione del vicedirettore della Camera di Commercio Iran-Cina Majid-Reza Hariri ripresa martedì scorso dal Financial Times Pechino sarebbe già il primo partner commerciale di Teheran; se le statistiche ufficiali per il 2009 mostrano ancora l'Ue saldamente in testa con 35 miliardi di dollari contro i 29 miliardi totalizzati dalla Cina, infatti, il sorpasso sarebbe già avvenuto attraverso gli Emirati Arabi Uniti: circa la metà dei 15 miliardi di dollari del commercio con l'Iran, infatti, sarebbe costituito in realtà da beni cinesi trasportati attraverso le accoglienti sponde degli E.A.U. Ma quanto sono ramificate le relazioni tra Cina e Iran? La posizione cinese è dettata solo da questa partnership o è determinata anche dalla tradizionale posizione di non ingerenza negli affari interni dei paesi stranieri che Pechino professa da sempre? E quale potrebbe essere lo sbocco dei rapporti tra i due paesi? "Ci troviamo di fronte a tre tipi di interessi: economici, energetici e politici" spiega la professoressa Elisa Giunchi, docente di Storia ed istituzioni dei paesi islamici all'Università statale di Milano e Associate Research Senior Fellow del Progetto Asia Meridionale dell'ISPI (che l'11 febbraio ha ospitato un seminario dal titolo "Iran: cambiamento o illusione"). "Commerciali, perché ovviamente la Cina è interessata a vendere i suoi prodotti all'Iran. Energetici, perché circa il 12% del fabbisogno cinese arriva dall'Iran sotto forma di petrolio e gas liquefatto; Pechino, inoltre, sta anche finanziando la costruzione di impianti di raffinazione in Iran, in quanto Teheran non ne ha la capacità. E infine politici, perché la Cina pare interessata a proiettarsi tanto sull'Oceano Indiano, che è assolutamente cruciale per il controllo delle vie energetiche e per la sua importanza militare, che verso l'Asia Centrale. Ora, anche India e Iran sono interessati a queste zone, ma Iran e Cina, a differenza di India e Cina, sono due paesi complementari: uno può fornire le risorse, l'altro i beni a basso costo". Il professo Li Lifan, ricercatore della Shanghai Academy of Social Sciences quasi glissa sulla notizia del sorpasso della Cina nei confronti della Ue: "Non penso che sia verificabile – dice – so che Sinopec, il colosso energetico cinese ha firmato un memorandum per investire in Iran 6.5 miliardi di dollari in un progetto di raffinerie. Ma che la Cina abbia superato l'Ue mi sembra difficile da dimostrare". Li Lifan, però, è anche vicesegretario del centro studi sulla Shanghai Cooperation Organisation, l'organizzazione internazionale che riunisce Cina, Russia, e quattro repubbliche ex sovietiche del Centro Asia (Kazakistan, Kyrgyzistan, Uzbekistan e Tajikistan). La SCO, fondata nel 2001, vede l'Iran tra gli osservatori esterni che potrebbero diventare membri ufficiali, e può forse fornire un approfondimento ulteriore: "Come gli altri osservatori esterni, l'Iran vuole rafforzare la sua posizione all'interno della SCO" spiega Li Lifan. "L'argomento principale di quest'anno per sviluppare la SCO sarà stabilire i criteri per l'accesso dei nuovi membri. Alla fine del mese scorso il presidente iraniano Ahmadinejad ha visitato il Tajikistan, e il presidente Rahmon si è fatto il principale promotore dell'entrata dell'Iran nello SCO: personalmente non ritengo che Teheran possa entrare subito nell'organizzazione a tutti i livelli, come ad esempio quello politico o quello dei trasporti. Ma la SCO è anche un club energetico, e l'Iran potrebbe farne parte a questo livello. Si tratta di qualcosa che arricchirebbe la Shanghai Cooperation Organisation, e contribuirebbe a togliere l'Iran dal suo isolamento". Una maggiore integrazione tra Cina e Iran attraverso l'Asia Centrale è una chiave di lettura che, ad un certo livello, convince anche la professoressa Giunchi: "C'è da sottolineare anche una questione di accesso di frontiere. A livello di corridoi territoriali per il passaggio dei beni, ad esempio, in alcuni casi Pechino può trovare più vantaggioso economicamente un accesso alle risorse dell'Asia Centrale attraverso l'Iran di quanto non sia l'accesso diretto attraverso i suoi stessi confini. Confini ancora oggi contestati, pensiamo ad esempio alla prossimità col Kashmir, o alla pericolosità dell'Afghanistan; e anche perché si tratta di zone morfologicamente difficili. Inoltre, attrarre maggiormente l'Iran dalla propria parte significa sottrarlo all'India, con la quale Teheran ha già una relazione complicata a causa della vicinanza di Nuova Delhi a Washington". "Il fatto che l'Iran sia una pentola a pressione suscita la reticenza dei cinesi – conclude Li Lifan – ma la posizione della Cina è che ogni paese ha il diritto di sviluppare un programma energetico nucleare, purché sia pacifico". L'avvicinamento tra Pechino e Teheran, insomma, si fa sempre più stretto, e passa anche per le rotte dell'Asia Centrale. Ma se questo abbraccio aggiungerà tensione o donerà sollievo alle relazioni internazionali dipenderà in gran parte dalle posizioni dei due attori.
di Antonio Talia