Pechino, 15 giu.- Il primo è l'uomo che negli anni '70 normalizzò le relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino, l'altro è l'ex ambasciatore USA in Cina che proprio ieri ha confermato la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. Henry Kissinger e Jon Huntsman Jr. concordano su un punto fondamentale: Cina e Stati Uniti devono dotarsi di un accordo e di una piattaforma per la limitazione degli attacchi hacker. Secondo entrambi gli ex funzionari USA, insomma, il campo del confronto tra Pechino e Washington si sta spostando anche nel cyberspazio, e per evitare incidenti sono necessarie regole definite.
I due si sono incontrati ieri nel corso di un forum sulla Cina organizzato a New York dalla Reuters. "A un certo punto si arriverà a sviluppare un contesto nel quale discutere dell'argomento e, ritengo, nel quale tracciare delle linee rosse intorno alle zone nelle quali noi non vogliamo che i cinesi si introducano e viceversa" ha detto Huntsman.
"Entrambe le nazioni posseggono elevate capacità sul fronte dello spionaggio - ha detto Kissinger -, e la chiave del problema consiste nel negoziare. Senza un trattato complessivo, le relazioni tra i due paesi sulla questione rischiano di deteriorarsi. Discuterne caso per caso condurrebbe solo a una spirale di accuse e contro-accuse".
La cyberguerra è un territorio ancora inesplorato, perlomeno sul fronte dei trattati internazionali, ma di estrema attualità: le parole di Kissinger e Huntsman arrivano a poche settimane da una serie di attacchi hacker che hanno colpito diverse istituzioni statunitensi o ospitate in territorio americano, tra cui il Senato USA e il Fondo Monetario Internazionale, ma che non hanno risparmiato neanche società come Citigroup e Lockheed Martin.
La Cina è sospettata di aver condotto attacchi coordinati contro le caselle Gmail di funzionari statunitensi e attivisti politici cinesi, ma Pechino ha negato qualsiasi responsabilità, proclamandosi anch'essa vittima degli hacker. E che ultimamente il cyberspazio sia attraversato da tensioni neanche tanto coperte è stato confermato anche dalle recenti dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei: "La Cina ha più volte affermato di essere disponibile allo scambio e alla cooperazione con la comunità internazionale sul tema della sicurezza di internet" ha dichiarato Hong, sempre nella giornata di ieri.
Ma il cyberspazio è senza confini, e appare chiaro che le usuali categorie del diritto internazionale non servono più per elaborare una dottrina adatta e evitare gli scontri: che cosa può essere definito "interesse nazionale"? Un attacco hacker, in certe occasioni, è equivalente a un atto di guerra? E come si fa a stabilire con certezza chi lo ha sferrato?
Da quando nel gennaio del 2010 Google ha accusato la Cina di attacchi hacker, minacciando come ritorsione di diffondere sul web cinese contenuti sgraditi al governo di Pechino, la questione ha iniziato a emergere in tutta la sua portata. Le rivolte in Nordafrica e Medio Oriente, che si sono spesso propagate sulle ali dei social network, hanno fatto il resto. Adesso, da più parti si richiama l'attenzione sulla necessità di regole precise: lunedì scorso, dopo un incontro avvenuto la scorsa settimana, la NATO ha annunciato l'inizio dell'elaborazione di una politica di cyber-difesa. "Se c'è una minaccia cibernetica, la NATO è dotata di meccanismi di discussione - ha dichiarato alla Reuters un funzionario NATO -, ma quello su cui stiamo lavorando concretamente è la costruzione di strutture, e agenzie".
di Antonio Talia
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