JON HUNTSMAN, L'ULTIMO DEI PIONIERI
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JON HUNTSMAN, L'ULTIMO DEI PIONIERI

JON HUNTSMAN, L'ULTIMO DEI PIONIERI

Usa-Cina
JON HUNTSMAN, L'ULTIMO DEI PIONIERI
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Roma, 28 feb. - Un video ha riportato al centro dei riflettori Jon Huntsman, l'ambasciatore Usa uscente che molti analisti ritengono un possibile sfidante di Obama alle prossime elezioni presidenziali. Huntsman è stato infatti avvistato sul luogo della "Protesta dei Gelsomini" organizzata a Pechino lo scorso 20 febbraio a Wangfujing, la via dello shopping vicino piazza Tian'anmen. Il video lo mostra mano nella mano con la figlia adottiva cinese, mentre alcune persone lo interrogano sulla sua presenza: "Cosa è venuto a fare qui? – chiedono alcuni passanti – spera in una sommossa cinese?". Huntsman, sebbene in passato non si sia risparmiato dal condannare la presa di posizione di Pechino nel caso del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, ha respinto con imbarazzo le accuse di appoggio alle manifestazioni, sostenendo di essere capitato lì per caso (questo articolo). Dopo questo episodio, a ogni modo, nel giro di poche ore l'ex ambasciatore è diventato protagonista di una vignetta satirica, mentre il governo cinese gettava ironia sulla scarsa affluenza alle proteste e affilava le armi della propaganda e del controllo in vista di domenica prossima: "Non vogliamo diventare la Tunisia o l'Egitto! – si legge nelle vignette del video che ritrae Huntsman – un miliardo e 300 milioni di persone dovrebbero fare affidamento sugli USA e su questo 'partito della strada' per riuscire a mangiare? Non diciamo cavolate!" 

Ma chi è Jon Huntsman? Figlio del plurimiliardario imprenditore americano Jon Meade Huntsman – diventato celebre per aver lanciato sul mercato la nota confezione di cartone del Big Mac – Jon sembra aver avuto le idee chiare su cosa fare della propria vita fin da subito. Il suo interesse per la Cina affonda le radici nel lontano 1971 quando, all'età di soli 11 anni, in visita alla Casa Bianca con il padre  – allora consigliere di Nixon – ebbe modo di scambiare alcune parole con Henry Kissinger in partenza per Pechino. Poche, semplici parole dette da un adulto ad un bambino, che avrebbero avuto un impatto determinante sulle sue scelte future. Nel 1979, infatti, Huntsman è già a Taiwan. Non come braccio destro dell'azienda paterna, ma come seguace e predicatore della chiesa mormonica in Cina. Un'esperienza che – come lui stesso ha dichiarato in una recente intervista alla stampa cinese – gli ha dato la possibilità non solo di apprendere la lingua, ma anche di ampliare la propria visione del mondo. "Erano gli anni del governo di Jiang Jingguo e sull'isola era stata imposta la legge marziale – ricorda l'ex-ambasciatore americano –; ogni settimana ritagliavo via dal Times e da Newsweek tutti gli articoli che parlavano dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina. E feci lo stesso con il libro di Kissinger, 'White House Years' ". Quando dieci anni dopo la famiglia Huntsman tornò a Taiwan per affari, Jon ebbe modo di vedere i radicali cambiamenti a cui era andata incontro l'isola: l'eliminazione della censura e il ripristino della libertà di stampa erano segnali di una profonda svolta nella situazione politica taiwanese.

Il fatto di essere stato nominato ambasciatore in Cina pur appartenendo al partito Repubblicano, di saper parlare perfettamente il mandarino e di aver vissuto trent'anni in Cina rendono certamente Huntsman un uomo politico raro, una pedina che potrebbe rivelarsi decisiva nella scacchiera della politica internazionale attuale. Obama stesso lo ha definito "un ponte tra gli Stati Uniti e la Cina", riconoscendo più volte il suo contributo nella promozione dei rapporti sino-americani. Esempio lampante è stata la sua pionieristica intuizione del cinese come "lingua strategica", che è sfociata nell'iniziativa di introdurre l'insegnamento del cinese nello Utah, primo Stato americano ad organizzare corsi di mandarino nelle università pubbliche. Il rapporto dell'ex ambasciatore con la Cina, quindi, va ben oltre il semplice vincolo ufficiale impostogli dalla carica diplomatica. E i suoi modi hanno saputo conquistare il Dragone. Huntsman rilascia interviste annunciando coraggiosamente la fine dell'era americana, auspica la collaborazione tra l'Aquila e il Dragone facendo sue le parole pronunciate in passato dal primo ministro Zhou Enlai: "Huxiang bangzhu, huxiang xuexi", aiutandoci l'un l'altro, impareremo insieme.

Ma nonostante il guanto di velluto dell'ex-ambasciatore, i timori nutriti dal Dragone nei confronti degli Usa non si sono sopiti del tutto. In un'intervista rilasciata al Global Times, Tao Wenzhao – esperto di relazioni sino-americane presso l'Istituto Americano dell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali – ha ammonito la Cina a non abbassare la guardia: "gli Stati Uniti raccolgono un insieme di numerosi gruppi d'interesse, il che vuol dire che i venditori d'armi continueranno a rifornire Taiwan, mentre il dipartimento per la difesa continuerà ad alimentare la 'teoria della minaccia cinese'".

Non nasconde la sua perplessità nemmeno Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali e direttore del Centro sugli Studi Americani presso la Renmin University di Pechino, il quale evidenzia come le questioni di Tibet e Taiwan, per il momento nascoste sotto il tappeto, costituiranno il prossimo terreno di sfida sul quale Cina e Stati Uniti troveranno ad affrontarsi. Il commercio di armi portato avanti dagli Stati Uniti in favore di Taiwan – per  oltre 6 miliardi dollari solo all'inizio del 2010 – e il sostegno dimostrato da Barack Obama nei confronti del Dalai Lama in merito alla questione dei diritti umani del popolo tibetano, rappresentano per la Cina delle imperdonabili 'interferenze'. Secondo Shi Yinhong , quindi,  poiché  il futuro delle relazioni tra i due Paesi dipenderà dalla capacità degli Usa di rispettare il diritto di sovranità cinese per quanto riguarda gli affari interni, l'insorgere di contrasti è inevitabile.

Data la natura problematica delle relazioni tra i due Paesi, le recenti dimissioni di Huntsman hanno suscitato una diffusa inquietudine non solo Cina, ma anche alla Casa Bianca che, in vista di una possibile rivalità con Obama alle presidenziali, nel 2009 aveva nominato Jon a capo della missione diplomatica a Pechino con una mossa che molti analisti non hanno esitato a definire strategica. "Difficilmente qualcuno potrà gestire in maniera più adeguata le relazioni sino-americane, Huntsman è il migliore," scrive il blogger sino-americano Yi Suli in una lettera a Mary Kaye, moglie dell'ex-ambasciatore. Non è ancora certa comunque la sua candidatura alle elezioni del 2012 e l'aver ricoperto la carica di ambasciatore a Pechino potrebbe rivelarsi per lui un'arma a doppio taglio. Se da un lato "l'incarico svolto in questi due anni in Cina ha contribuito ad accrescere la sua fama e le sue competenze in politica estera, costituendo una solida base per una eventuale candidatura alle primarie" ha dichiarato Ni Feng – vice-direttore dell'Istituto degli Studi Americani presso l'Accademia cinese delle Scienze Sociali – dall'altro lato bisogna considerare le aspre critiche mossegli dall'ala conservatrice dei Repubblicani, la quale auspica misure più forti nei confronti del gigante asiatico. Ni Feng non esclude l'eventualità che Huntsman decida di posticipare la sua entrata in scena: "L'ipotesi di una sua candidatura ha suscitato clamore soprattutto perché fa riaffiorare la possibilità di un ritorno dei Repubblicani alla Casa Bianca, possibilità rafforzata dalla vittoria del GOP (Grand Old Party) alle ultime elezioni di metà mandato. Tuttavia ritengo che Huntsman avrebbe più chance se rimandasse la sua candidatura alle presidenziali del 2016".

E' convinzione diffusa tra gli osservatoti cinesi della realtà politica americana che, sebbene l'incarico svolto in Cina abbia accresciuto la notorietà dell'ex-ambasciatore, è tuttavia difficile immaginare oggi che Obama non venga riconfermato alla presidenza degli Stati Uniti.  "Se Huntsman deciderà di presentarsi con i Repubblicani – scrive Yi Suli – non penso lo farà prima di quattro anni." Ad avvalorare questa ipotesi la recente notizia della candidatura alle prossime elezioni di Mitt Romney, governatore del Massachussets nonché seguace della chiesa mormonica. Dato il vincolo di profonda amicizia che lo lega a Huntsman, una competizione tra i due appare piuttosto improbabile, spiega Yi. E se, come emerge dalle parole di Shi Yinhong, una parte degli addetti ai lavori ritiene che le dimissioni di Huntsman non cambieranno gli equilibri internazionali, una fetta più consistente è fiduciosa che, qualsiasi decisione prenderà in futuro, l'ex-ambasciatore sarà comunque destinato a scrivere un nuovo capitolo delle relazioni sino-americane.

di Alessandra Colarizi e Anna Rita De Gaetano

© Riproduzione riservata 

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