Irritazione in Cina: si rischia uno tsunami
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Irritazione in Cina: si rischia uno tsunami

Irritazione in Cina: si rischia uno tsunami

Il default visto da Pechino
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di Stefano Carrer
Come irritare il proprio principale creditore. Non basta il teatro politico di Washington che fa aleggiare lo spettro di un (finora) inconcepibile default americano. Ieri il segretario di Stato Hillary Clinton ha pronunciato di nuovo la frase che già l'anno scorso aveva suscitato il risentimento della Cina: gli Stati Uniti hanno un «interesse nazionale» nel Mar Cinese Meridionale, dove le recenti tensioni minacciano «la pace e la stabilità» regionale.
Ma è alla stabilità dei mercati finanziari la minaccia oggi più grave e imminente. Invano varie prese di posizione dei dirigenti cinesi hanno invitato nelle ultime settimane gli Usa ad «adottare politiche e misure responsabili» per garantire l'interesse degli investitori (primo fra tutti quello di Pechino, che detiene oltre 1.100 miliardi di dollari di Treasuries): è chiaro a tutti che un default federale e un downgrading del debito sovrano Usa rischierebbe non solo di indebolire il dollaro e minarne la credibilità, ma di provocare tsunami finanziari ed economici globali. Sconquassi che colpirebbero la Cina ben al di là del valore del suo portafoglio titoli.
Non appaiono casuali le parole che il governatore della Banca centrale cinese Zhou Xiaochuan ha pronunciato per rallegrarsi dell'esito del vertice europeo anti-crisi: il nuovo piano «tutelerà la fiducia del mercato e spingerà a una ripresa nell'Unione Europea e nelle economie mondiali». Pechino sottolinea insomma i propri atteggiamenti «responsabili» di fronte ai venti di irresponsabilità altrui. Visto che il tormentone sul tetto al debito ha già gravemente danneggiato la reputazione americana, questo può bastare: per ora, gli Stati Uniti devono restare «too big to fail».

24/07/2011
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