IPR DESK: "AZIENDE ITALIANE TUTELATEVI IN CINA"
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IPR DESK: "AZIENDE ITALIANE TUTELATEVI IN CINA"

IPR DESK: "AZIENDE ITALIANE TUTELATEVI IN CINA"

Proprietà Intellettuale
IPR DESK: "AZIENDE ITALIANE TUTELATEVI IN CINA"
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Pechino, 8 feb.- "Le aziende italiane in Cina presentano difese immunitarie bassissime contro la violazione della proprietà intellettuale. In sei mesi di presenza siamo venuti a contatto con più di un centinaio di aziende, e posso dire che solo il 15% aveva preso qualche precauzione. Quelle che hanno una vera strategia, poi, sono circa l'1%": Giovanni de Sanctis, direttore dell'IPR Desk di Pechino, lo sportello a disposizione delle imprese italiane per la tutela dei marchi, mette in guardia contro la scarsa conoscenza delle normative cinesi in materia. "Eppure – sostiene - nella maggior parte dei casi le procedure per cautelarsi sono semplici e la spesa è minima".

 

Lo sportello di Pechino, attivo dal luglio del 2010 presso la sede dell'ICE, fornisce una consulenza a 360 gradi sulla proprietà intellettuale a tutte le aziende presenti in Cina, o che con la Cina hanno a che fare, e costituisce anche un punto di riferimento per l'amministrazione italiana. Un sostegno del quale, a consultare le statistiche ufficiali, c'è davvero bisogno: nel 2010, ad esempio, le aziende italiane che hanno chiesto di registrare i loro brevetti in Cina sono state 1627; ma se appare normale che l'Italia venga ampiamente superata da giganti come USA, Giappone e Germania, anche concorrenti più diretti come Francia e Gran Bretagna si mostrano più bravi di noi a tutelare le loro proprietà intellettuali, per non parlare di nazioni come Olanda, Svezia e Svizzera.

 

Un altro dato preoccupante arriva dalle dogane italiane: nel 2009, il 90% dei prodotti contraffatti fermati alle nostre frontiere proveniva dall'Impero di Mezzo. Ma mentre è possibile bloccare queste merci all'ingresso in Italia, non sempre si può fare altrettanto in Cina, per cui si arriva a situazioni ormai note -ma sempre paradossali - in cui aziende cinesi veloci a registrare marchi italiani in patria risultano inattaccabili sul piano legale. Eppure, spiega De Sanctis, i costi sarebbero irrisori: "La tassa per la tutela minima di un marchio minimo, che copre una classe di merci e dieci prodotti, corrisponde a circa 150 dollari, cui ne vanno aggiunti altrettanti per la prestazione dei consulenti. Stiamo parlando, insomma, di circa 300 dollari all'anno".

 

Perché allora non si attuano delle strategie di protezione? Secondo il direttore dell'IPR Desk, le ragioni vanno ricercate principalmente in una scarsa conoscenza del contesto legislativo cinese e nella limitata fiducia verso l'attuazione delle norme: "Le aziende italiane ritengono che la Cina sia ancora quella di dieci anni fa, ante ingresso Organizzazione Mondiale per il Commercio, e approcciano questo mercato come se fossimo nel 2000. O perlomeno ritengono che anche dopo l'ingresso nell'OMC non sia cambiato nulla,  e quindi sarebbe inutile tutelarsi. Eppure la Cina possiede ormai una normativa all'avanguardia e in continuo aggiornamento, e l'applicazione delle norme nei  tribunali delle grandi città è efficace; anche se lo stesso non si può dire dell'interno del paese".

 

Secondo De Sanctis, insomma, i problemi riguardano principalmente quelle aziende che si muovono troppo tardi: "Aziende che un giorno si svegliano e si imbattono sotto casa in una versione contraffatta in Cina del loro prodotto. Le categorie più a rischio, sono un po' tutte: meccanica, design, abbigliamento. Queste imprese, che entrano nel momento patologico di un caso di contraffazione, finiscono a rincorrere in giro per il mondo i prodotti copiati, cercando di tamponare la situazione su quei mercati nei quali hanno qualche diritto da far valere. Se invece si fossero protette in Cina, non dovrebbero andare a circoscrivere un'emorragia  che rischia di dilagare ovunque e, inoltre, comporta costi elevatissimi. Soprattutto per le imprese del tessuto italiano, che sono medie e piccole, un investimento sbagliato in Cina comporta rischi enormi. Sono queste aziende che magari, dopo un'esperienza negativa, invitano gli altri a non tentare lo sbarco sul mercato cinese. Un errore madornale, perché dalla Cina, ormai, non si può prescindere. Sia che si scelga di diffondere i propri prodotti su questo mercato immenso, sia che si preferisca semplicemente proteggere i mercati già conquistati da un'invasione di contraffazioni Made in China".

 

di Antonio Talia

 

© Riproduzione riservata 

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