Investire sui Brics limitando i rischi
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Investire sui Brics limitando i rischi

Investire sui Brics limitando i rischi

Il manuale per il risparmiatore. Consigli pratici
di lettura
A CURA DI
Andrea Curiat
Fino a pochi anni fa, l'investimento nei Paesi emergenti era riservato esclusivamente ai risparmiatori con profili di rischio più aggressivi e spregiudicati. E comunque mai in misura superiore al 5-10% del portafoglio complessivo.
Oggi la crisi dell'eurozona e la recessione dell'economia statunitense hanno improvvisamente innalzato il livello di rischio percepito connesso a investimenti considerati tradizionalmente sicuri. Contemporaneamente i Paesi in via di sviluppo hanno dimostrato di saper reagire alla crisi continuando a crescere in termini reali, seppur senza restare esenti da crolli e da fasi di volatilità in Borsa. L'allargamento delle aree geografiche in fase di crescita al di fuori del ben noto acronimo Brics (ai tradizionali Brasile, Russia, India e Cina si è aggiunto anche il Sudafrica) e la creazione di mercati interni in grado di sostituire in parte la domanda esterna durante la fase di recessione internazionale continuano a sostenere l'ottimismo degli analisti sulle prospettive future di crescita.
Sempre più investitori interessati a diversificare il portafoglio e in cerca di una marcia in più per i rendimenti subiscono il fascino dei Paesi emergenti. Che non devono però essere considerati alla stregua di una panacea contro tutti i mali della crisi. I tassi di crescita previsti dagli esperti per il 2012 saranno leggermente inferiori rispetto a quelli registrati nel 2010 e 2011. Ma soprattutto il profilo di rischio resta elevato e connesso a diversi fattori macroeconomici, che vanno dagli elevati tassi d'inflazione all'instabilità geopolitica in diverse regioni del mondo, passando per l'assenza di reti di infrastrutture adeguate a sostenere una crescita di lungo periodo.
La scelta delle strategie d'investimento, delle asset class, del timing di ingresso e uscita dai mercati finanziari resta fondamentale per non vedere naufragare il proprio portafoglio. E i pro e contro di una gestione attiva contro una passiva vanno valutati attentamente.
Nelle schede a fianco tutte le risposte per chi vuole avvicinarsi ai mercati emergenti senza cedere a facili entusiasmi o, viceversa, al panico e all'incertezza del breve periodo.
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Due strumenti a disposizione
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Quali sono vantaggi e rischi degli investimenti in Etf legati agli emergenti?

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Investire sui Paesi emergenti tramite Etf consente di differenziare con poco sforzo i propri investimenti su un gran numero di titoli, di comparti economici e di mercati geografici. Si evita così di dover effettuare un accurato stock picking delle singole azioni e obbligazioni, risparmiando anche sulle commissioni di gestione. Come tutti gli strumenti che replicano passivamente un indice, anche gli Etf sono caratterizzati da costi relativamente bassi rispetto ai tradizionali fondi comuni di investimento a gestione attiva. Rispetto a questi ultimi, però, gli Etf risentono della mancanza di una gestione professionale degli investimenti: stando alle ultime rilevazioni degli analisti, gli Etf hanno sovraperformato i benchmark per quattro anni sugli ultimi dieci, contro un rapporto di otto a dieci messo a segno dai fondi a gestione attiva. I risparmiatori, insomma, devono decidere autonomamente quando entrare e uscire dai mercati e su quali Etf puntare. Per questa ragione, gli Etf legati ai Paesi emergenti sono consigliabili a investitori ben informati, che sappiano accollarsi in pieno i rischi economici e geopolitici che caratterizzano i mercati in via di sviluppo.



Su quali asset posso investire tramite Etf?

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Ci sono numerosi Etf che fanno riferimento ad altrettante tipologie di indici sottostanti. Alcuni investono nei titoli azionari delle società a maggiore capitalizzazione in Brasile, Russia, India, Cina e negli altri emergenti. Altri replicano passivamente i singoli indici delle Borse estere oppure operano una selezione tra le aziende dei diversi settori, come le infrastrutture. Altri ancora sono legati all'andamento di titoli obbligazionari pubblici o corporate. Ci sono poi Etf legati ad aziende quotate nei Paesi occidentali, ma che operano o che realizzano gran parte del fatturato proprio sugli emergenti. Quando si seleziona un Etf è importante analizzare la composizione dell'indice sottostante per individuare i potenziali fattori di rischio. E in ogni caso è bene conoscere il mercato sul quale si vuole andare a investire. Alcuni tra i fondi più scambiati sono legati all'Msci Emerging Markets Index, un indice che sintetizza l'andamento dei mercati di ben 21 Paesi. In questo paniere, però, Cina e Brasile pesano complessivamente per il 17%: bisogna quindi valutare prevalentemente le dinamiche in atto in questi due Paesi per poter ottenere una stima attendibile dell'andamento degli Etf legati all'indice.



Gli investimenti sono soggetti a rischio valuta?

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Sì: anche se l'Etf è acquistato in euro, l'indice sottostante può essere espresso in valute diverse. Nel caso degli Etf legati ai mercati emergenti, un deprezzamento della valuta locale può determinare una perdita di valore dell'investimento. Il cambio tra l'euro e il dollaro di Hong Kong, per esempio, si è dimostrato spesso variabile, il che ha determinato una volatilità degli Etf ancorati a indici cinesi.

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Quali sono i fattori da monitorare per investire nei Paesi emergenti?

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Investire una parte dei risparmi in titoli dei Paesi emergenti può aiutare a diversificare il profilo di rischio del portafoglio rispetto alle più tradizionali azioni e obbligazioni. Le prospettive di crescita di molte economie possono determinare, nel medio o lungo periodo, rendimenti consistenti degli investimenti. Non bisogna però dimenticare che a guadagni elevati corrispondono sempre rischi alti. Le tendenze da tenere d'occhio, in generale, includono il tasso d'inflazione, che è spesso molto elevato e può spingere le Banche centrali dei diversi Paesi ad adottare politiche monetarie restrittive, innescando un progressivo rallentamento della crescita economica. Stessa attenzione va riservata alle dinamiche delle materie prime: l'andamento inflattivo dei costi di petrolio e altre commodities può favorire gli esportatori e danneggiare i grandi Paesi importatori. I consumi interni rappresentano un driver fondamentale di crescita in un momento in cui gli Stati occidentali non riescono più ad assorbire interamente le esportazioni dagli emergenti: la presenza di un mercato interno sano o in forte sviluppo può essere un indice di buone performance future. Infine, non bisogna sottovalutare l'instabilità politica nei singoli Stati o nelle aree geografiche di riferimento, che può determinare un crollo dell'attrattività dei mercati.



Quali sono le possibili strategie d'investimento?

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Prima di tutto, bisogna ricordare che una corretta allocazione del portafoglio dipende dagli obiettivi del singolo risparmiatore e dal suo profilo di rischio. Solo chi ha un'ottima conoscenza dei Paesi e degli scenari economici locali e internazionali dovrebbe selezionare in prima persona titoli e strategie di investimento. Per tutti gli altri, può essere più saggio affidarsi a fondi di investimento guidati da gestori professionisti, che hanno il preciso obiettivo di ottenere rendimenti elevati nelle fasi di crescita delle economie locali, e di contenere le perdite nei momenti recessivi. In questo caso, però, bisogna essere pronti a sobbarcarsi commissioni elevate che possono erodere i margini di rendimento. Si può anche entrare sui mercati attraverso strategie alternative non troppo complesse: per esempio, distribuendo l'investimento nel tempo tramite piani di accumulo a rate, così da diversificare il timing d'ingresso ed evitare scelte azzardate dettate dall'emotività. Oppure puntando su fondi obbligazionari legati all'inflazione che, nei Paesi emergenti, si accompagna spesso alla crescita economica a tassi elevati.



Quanta parte del portafoglio conviene investire in titoli degli emergenti?

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Il peso degli emergenti in portafoglio non dovrebbe superare il 10% per profili di rischio medio o il 20% per investitori più aggressivi. Queste stesse quote, però, vanno suddivise tra più mercati, emittenti e asset class, in modo da ridurre il più possibile il rischio.

09/01/2012
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