Roma, 11 giu.- Continua, anzi, triplica l'invasione di pomodori cinesi in Europa, con il rischio che nella famosa dieta mediterranea, di italiano resti ben poco.
Se a impressionare l'Italia erano 'bastati' gli 82 milioni di chili di concentrato di pomodoro importato dalla Cina nel 2009 - pari al 10% della produzione nazionale - le cifre relative al primo trimestre del 2010 (+174 rispetto al periodo precedente) evidenziate dal rapporto di Coldiretti, cooperative agricole dell'Unci e industrie conserviere dell'Aiipa, mettono in allarme produttori consumatori che, secondo le stime, ogni anno acquistano 550 milioni di chili di pomodori in scatola o bottiglia.
"Ogni giorno nei porti italiani vengono scaricati oltre mille fusti (da 200 Kg l'uno) di concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina che finisce sulle tavole mondiali come condimento tipico del Made in Italy" si legge nel dossier. "Il quantitativo che sbarca nel nostro Paese dalla Cina corrisponde al 10% della produzione di pomodoro fresco destinato alla trasformazione realizzata in Italia che nel 2009 è stata pari a 5,73 miliardi di chili" continua Coldiretti.
Il danno causato dall'importazione del pomodoro cinese è triplice: gravi ripercussioni si abbatteranno sull'economia del Belpaese e sull'immagine del marchio italiano, che dell'agroalimentare ha fatto il suo punto di forza, e sulla salute dei consumatori. Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati oltre 8mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 85mila ettari, e 178 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro oltre 20mila persone. Il comparto garantisce una produzione dal valore nettamente superiore ai 2 miliardi di euro, va da sé che un'importazione dalle cifre così elevate non può che minare il mercato italiano.
A rischio è anche il marchio del Made in Italy, che in questo caso risulta poco protetto: "il concentrato che arriva nei porti italiani" spiega ad Agichina24 Stefano Bazzano, responsabile economico di Coldiretti "è un semilavorato che viene poi trattato e esportato dagli industriali italiani". "Chiediamo alla Comunità europea una normativa che imponga ai produttori di indicare non solo il luogo di confezionamento ma anche quello di origine" spiega ancora Bazzana, che aggiunge: "per ora l'indicazione è obbligatoria solo per le passate di pomodoro quindi non si può parlare di truffa. E' solo un'omissione". Il luogo d'origine è quasi sempre le regioni del Junggar e Tarim, lo Xinjiang dove operano le aziende Tunhe e Chalkis Tomato, protagoniste indiscusse della produzione di pomodori.
Nel peggiore dei casi il prodotto tipico italiano viene letteralmente clonato: sono molte le confezioni di concentrato di pomodoro che riportano marchi identici a quelli nostrani, bandiera tricolore, scritte in italiano, codice a barre, marchio commerciale. E ancora: l'immancabile scritta "100% prodotto italiano" e la garanzia che le confezioni contengano il pomodoro come unico ingrediente, salvo poi scoprire attraverso le analisi che in realtà, fa sapere Coldiretti, il barattolo contiene tracce di pomodoro, mentre il resto del contenuto deriva da "scarti vegetali diversa natura, quali bucce e semi di ortaggi, e frutta". A 'esaltare' questi ingredienti si aggiunge poi una quantità di muffe che eccede i limiti previsti dalla legislazione italiana.
La soluzione per Coldiretti risiede in un aumento dei controlli da parte della Comunità europea: "attualmente le verifiche vengono fatte a campione, ma non è sufficiente, specialmente se si tratta di prodotti provenienti dalla Cina dove i controlli sono scarsi". "Per ora sono state trovate delle tracce vegetali in alcuni campioni di concentrato venduto sul mercato inglese e africano. La soia e gli scarti vegetali non comportano gravi problemi di salute, ma l'aumento dei controlli aiuta a evitare scandali come quello del latte alla melamina, estremamente dannoso per l'uomo". "Il consumatore è comunque vittima di una frode commerciale in quanto si ritrova con un prodotto completamente diverso da quello dichiarato nell'etichetta". E' il dumping inoltre a destare le preoccupazioni di Coldiretti secondo cui "i prezzi stracciati dei prodotti cinesi minacciano di conquistare il mercato".
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