INTERVISTA ALL'AMBASCIATORE ITALIANO SEQUI IN CINA

 

Di Eugenio Buzzetti

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Pechino, 12 ott. - Dal luglio scorso, Ettore Francesco Sequi è il nuovo ambasciatore d'Italia in Cina. Nato a Ghilarza, in provincia di Oristano, nel 1956, il nuovo ambasciatore aveva in precedenza ricoperto la carica di capo di gabinetto del Ministro degli Esteri, Federica Mogherini, prima, e Paolo Gentiloni, poi. Nominato ambasciatore nel gennaio di quest'anno, Sequi aveva iniziato la carriera diplomatica nel 1985, dopo avere conseguito la laurea in Scienze Politiche all'università di Cagliari. Quattro anni dopo è console a Teheran e nel 1994 prende servizio a New York presso la rappresentanza permanente d'Italia all'Onu. Nel 2004 viene nominato ambasciatore a Kabul e nel 2007 diventa ministro plenipotenziario. Nel 2011 viene nominato capo delle delegazione dell'Unione Europea a Tirana. Il 19 agoto scorso ha presentato le proprie credenziali al presidente cinese, Xi Jinping.

In un'intervista concessa ad Agi, Ettore Francesco Sequi parla delle opportunità che offre per le imprese italiane il nuovo corso cinese, segnato dal "new normal" della crescita e dalla strategia "made in China 2025" sull'innovazione industriale, e analizza i rapporti bilaterali tra Italia e Cina con i possibili sviluppi per il futuro. Sequi ha iniziato la missione in Cina in un periodo particolare per il gigante asiatico, segnato dalle turbolenze sui mercati azionari della scorsa estate, e dalla svalutazione a sorpresa dello yuan, nell'agosto scorso. Ad attrarre l'attenzione internazionale, è stata poi la tragedia avvenuta nel porto di Tianjin, dove il 12 agosto una serie di esplosioni provocate dalla combustione di materiali chimici ha provocato 170 morti e centinaia di feriti. Mesi piuttosto difficili per la Cina, spiega l'ambasciatore, che non devono, però, creare eccessivi allarmismi.

"A mio avviso, la Cina sta attraversando una fase di maturazione, che comporta inevitabilmente qualche incidente di percorso - sottolinea Sequi nell'intervista ad Agi - Il governo di Pechino ha ancora saldamente in mano il timone, pur dovendo prestare attenzione a non sottovalutare certi segnali e a riadattare opportunamente le proprie strategie. Di certo, la Cina resta un Paese in grado di spostare gli equilibri a livello internazionale, contribuendo a decidere le sorti del pianeta". Tra gli eventi positivi degli ultimi giorni, invece, c'è la vittoria del Premio Nobel per la Medicina dell'immunologa Tu Youyou, assieme agli scienziati William Campbell e Satoshi Omura, per gli studi compiuti sulle malattie infettive. L'ambasciatore d'Italia in Cina ha rimarcato che il Nobel attribuito alla scienziata cinese, Tu Youyou, la cui scoperta dell'efficacia dell'Artemisinina come farmaco anti-malarico ha contribuito a salvare la vita di milioni di persone, rende onore alla Cina intera.


L'inizio della sua missione in Cina ha coinciso con i crolli dei mercati azionari che hanno fatto tremare anche le piazze europee e con le esplosioni di Tianjin, che hanno provocato oltre 160 morti. Quale di queste due immagini la colpisce di più? Come trova la Cina nei primi mesi del suo mandato?


Riguardo ai fatti di Tianjin e alle scosse che hanno interessato di recente i mercati, è innegabile che gli ultimi mesi siano stati piuttosto difficili per la Cina, anche in termini di immagine internazionale. Ritengo, tuttavia, che sia necessario evitare allarmismi e cercare piuttosto di compiere un'analisi equilibrata della situazione, che presenta molteplici sfaccettature e chiavi di lettura e va esaminata nella sua complessità. Se guardiamo al crollo di alcune piazze d'affari cinesi, il mercato azionario è stato a dir poco effervescente negli ultimi mesi e un assestamento, anche brusco, diventa fisiologico quando si verificano scollamenti tra l'andamento finanziario e quello dell'economia reale. A mio avviso, la Cina sta attraversando una fase di maturazione, che comporta inevitabilmente qualche incidente di percorso. Il governo di Pechino ha ancora saldamente in mano il timone, pur dovendo prestare attenzione a non sottovalutare certi segnali e a riadattare opportunamente le proprie strategie. Di certo, la Cina resta un Paese in grado di spostare gli equilibri a livello internazionale, contribuendo a decidere le sorti del pianeta. E' esemplare, per esempio, l'importante esito della visita di Xi Jinping negli Usa, con riferimento alla lotta ai cambiamenti climatici.

L'Italia viene considerata il terminale della Nuova Via della Seta cinese. Quali progetti ha il nostro Paese per il collegamento con la Cina? Come valuta l'ingresso nella Aiib (Asian Infrastructure Investment Bank) dell'Italia, quarto Paese europeo per quota di partecipazione?

Da un punto di vista storico è indubbio che l'Italia sia il punto di arrivo (o, se si vuole, di partenza) della Via della Seta. Per quanto la storia sia importante nel rapporto con Pechino, è mia convinzione che le glorie del passato non bastino a garantirci l'inserimento nei corridoi commerciali del futuro. Dobbiamo quindi lavorare per spiegare ai partner cinesi i vantaggi del sistema infrastrutturale italiano, soprattutto quello dei porti, valorizzando la centralità dell'Italia nel Mediterraneo e la facile interconnessione tra la penisola e il continente europeo. La Cina è il primo azionista della Aiib, con una partecipazione del 30,34%. La scelta lungimirante e tempestiva del nostro governo ha consentito all'Italia di partecipare al negoziato sugli "Articles of Agreement" firmati il 29 giugno scorso e di fornire un contributo decisivo per fare della Aiib, come da tutti auspicato, una banca "lean, clean and green". Con una quota del 2,62% del capitale, dobbiamo ora sapere cogliere i frutti economici del nostro investimento politico.

Gli ultimi due anni hanno visto un forte aumento degli investimenti cinesi nel nostro Paese. Da un lato, la banca centrale cinese è entrata strategicamente in molti gruppi italiani, dall'altro, i gruppi cinesi investono nel nostro know-how, fino all'ingresso in Pirelli. Come giudica l'evolversi degli investimenti cinesi nel nostro Paese?

La crescita degli investimenti cinesi in Italia è innanzitutto un attestato di fiducia nei confronti della spinta riformatrice del governo e, di conseguenza, del futuro del nostro Paese. E non si tratta solo di una percezione perché, a essere positivi, sono dati e indicatori contenuti nell'ultimo rapporto dell'Ocse sull'Italia. L'interesse degli investitori cinesi per l'Italia è anche il frutto dell'intensificazione dei rapporti bilaterali, come testimoniano l'assiduità e la profondità della visite di alto profilo. Lo scorso anno, il presidente del Consiglio Renzi, accompagnato dal ministro Guidi, ha visitato la Cina a giugno e ha poi ricevuto il primo ministro cinese Li Keqiang in Italia nel mese di ottobre. Sempre nel 2014 è venuto in missione il ministro Padoan. A marzo 2015 è stato il turno del vice ministro Calenda per la commissione mista economico-commerciale. Appena un mese dopo, il ministro Gentiloni ha co-presieduto con il suo omologo cinese Wang Yi il Comitato governativo, cabina di regia del partenariato strategico italo-cinese, per poi tornare a Pechino a settembre in  occasione delle celebrazione del settantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Tutto ciò ha contribuito a ridurre un'asimmetria storica, quella tra investimenti italiani in Cina e investimenti cinesi in Italia. Certo, molto lavoro resta ancora da fare, in quanto lo squilibrio persiste non solo nei volumi ma anche nella natura degli investimenti. A questo riguardo, tuttavia, ci incoraggiano esempi come quello della Pirelli e ci attendiamo che, dedicando maggiore attenzione alle realtà produttive del nostro paese, i partner cinesi affianchino agli investimenti finanziari, quote crescenti di investimenti industriali. In tale ottica, l'Ambasciata, oltre a continuare a presentare alla Cina i prodotti di punta del "Made in Italy", sta operando per promuovere il concetto più inclusivo e collaborativo "Do it with Italy", valorizzando come l'Italia, nel corso della sua storia millenaria, abbia sempre avuto nel suo Dna la continua ricerca dell'eccellenza, della creatività e dell'innovazione. Secoli fa, Leonardo da Vinci e Michelangelo immaginavano e davano forma al futuro, oggi mandiamo i nostri uomini e donne nello spazio. In questi aspetti siamo simili ai nostri amici cinesi, essi stessi eredi di una civiltà antica e ricca di inventiva, ed è quindi naturale perseguire iniziative e progetti congiunti che ci consentano di approfondire ulteriormente la nostra cooperazione.

Siamo arrivati quasi al termine di Expo Milano 2015, in cui la Cina ha investito con tre padiglioni. L'esposizione universale di Milano compare spesso sui media cinesi. Possiamo tracciare un bilancio di questi primi cinque mesi? Oltre alla cooperazione nel campo della sicurezza alimentare quali altri spunti può dare l'Expo di Milano alla cooperazione tra Italia e Cina?

Un bilancio senz'altro positivo, confortato dalla costante attenzione riposta dai media cinesi.
  la Cina ha risolto il problema della "Food Security" - un traguardo importantissimo per un Paese così popoloso - e affronta adesso la sfida della "food safety". Non a caso il Consiglio di Stato (il governo cinese) ha approvato nuove, stringenti, norme in materia, in risposta anche alla crescente attenzione dei cittadini della Repubblica Popolare per la sicurezza alimentare. In questo campo, l'Italia, forte delle sue migliori pratiche, è partner privilegiato della Cina. La collaborazione bilaterale è stata potenziata  grazie all'Expo e non si esaurirà al temine dell'esposizione universale. Il forum italo-cinese per la cooperazione nel settore agro-alimentare, svoltosi a Milano il 9 giugno scorso alla presenza del vice premier cinese Wang Yang, ha evidenziato le grandi potenzialità di sviluppo degli scambi nel settore. A questo e ad altri esercizi daremo continuità. In autunno abbiamo già in programma a Pechino, presso l'Ambasciata, la terza edizione del dialogo bilaterale sulla sicurezza alimentare che organizziamo annualmente con la China Food and Drug Administration. Non dimentichiamo che, per molte delle imprese che vi partecipano, l'Expo ha costituto la piattaforma ideale per definire scelte aziendali di grande impatto e stabilire in Italia gli uffici che ne cureranno gli affari in Europa. Infine, l'Expo ha contribuito a potenziare l'afflusso turistico verso l'Italia, che ha fatto registrare un aumento complessivo dei visti di oltre il 30% rispetto all'anno scorso, e gli scambi people-to-people, con numerose attività realizzate da artisti cinesi.

La svalutazione dello yuan potrebbe essere un campanello d'allarme per i gruppi italiani che investono in Cina? Prevede ripercussioni nell'economia reale che possano spaventare anche gli interessi del nostro Paese?

Credo che riguardo alla svalutazione dello yuan si possa vedere la situazione con relativa tranquillità. Se si va infatti a guardare la dinamica dei cambi delle ultime settimane, le fluttuazioni sono state piuttosto limitate e lo yuan resta ampiamente al di sopra dei tassi di un anno, un anno e mezzo fa, quando di svalutazione non si sentiva neanche parlare. Lo stesso discorso vale per quanto accaduto sui mercati azionari: gli investimenti italiani in Cina sono in prevalenza di natura industriale e produttiva, non finanziaria. Non ritengo che il rallentamento delle borse cinesi metta a rischio gli interessi italiani anche perché le nostre aziende non sono quotate (e non possono esserlo) sul listino principale di Shanghai. E' l'andamento dell'economia reale, invece, a dovere essere attentamente analizzato, qui come altrove La Cina si sta adeguando a un parametro di crescita diverso dal passato, il cosiddetto "new normal". Di questo i nostri investitori sono ben consapevoli, tanto da avere ormai voltato pagina rispetto alla "era della delocalizzazione" in Cina. Ora l'obiettivo è agganciare le opportunità della strategia "made in China 2025" e non credo che le aziende italiane abbiano timori al riguardo. Uno dei nostri punti di forza è, d'altronde, la capacità di adattamento. Altre sono le difficoltà che i nostri imprenditori devono fronteggiare, per esempio in materia di accesso al mercato, di tutela della proprietà intellettuale o di protezione degli investimenti. Questi aspetti, del resto, sono una priorità dell'Ambasciata che tra l'altro non perde occasione per sensibilizzare le autorità cinesi mantenendo con loro un dialogo aperto e costante.

Entro il 2020, scriveva nelle scorse settimane il Financial Times, Pechino sarà il primo investitore all'estero. E' iniziata una "nuova era di capitali cinesi all'estero"?

La nuova era di capitali cinesi all'estero è in realtà iniziata già da tempo. Lo dimostra il rapporto dell'Unctad (United Nation Conference on Trade and Development) sull'andamento degli investimenti globali nel 2014, di recente presentato a Ginevra. Il maggiore impulso alla crescita degli investimenti diretti esteri in uscita viene dall'Asia. A livello globale, la classifica degli Ide (investimenti diretti esteri) in uscita stilata dall'Unctad vede in testa gli Usa (con 337 miliardi di dollari) seguiti da Hong Kong (143 miliardi, in crescita del 77% rispetto all'anno precedente) e Cina (116 miliardi). Vale la pena di sottolineare che la Cina, scalzando gli Usa, è divenuta il primo Paese destinatario di Ide (circa 128 miliardi di dollari).

Lotta alla corruzione, guerra all'inquinamento, ristrutturazione del modello economico, iniziativa della Nuova Via della Seta, potenza assertiva nei mari. Quale di questi tratti caratterizza di più la Cina di Xi Jinping e Li Keqiang, secondo lei? Quali rischi intravede per la regione?

Tali fenomeni, in parte , rispondono a logiche di politica interna e, in parte, alle spinte tipiche delle potenze in ascesa. Credo che sia giusto sottolineare un aspetto positivo, è cioè il tentativo della leadership cinese di fornire risposte alle esigenze dei cittadini, con necessità evidentemente diverse rispetto a quelle delle scorse generazioni. Il Paese cresce e matura: non è più semplicemente "la fabbrica del mondo". A caratterizzare la Cina di oggi, direi, è la consapevolezza di sè. La presenza cinese nei mari prospicienti è il riflesso di una pluralità di fattori e sarebbe riduttivo analizzare le iniziative di Pechino collocandole nel solo contesto dei contenziosi bilaterali con i Paesi della regione. Il Mare Cinese Meridionale è uno snodo di comunicazione di rilevanza strategica globale, sia per le rotte commerciali, sia per la ricchezza delle sue risorse (ittiche ed energetiche). E' interesse di tutta la comunità internazionale preservare la pace e privilegiare il dialogo.

A fine luglio è stata annunciata la morte del mullah Omar dall'intelligence afghana. La Cina ha avuto un ruolo nella mediazione tra il governo di Kabul e i talebani, ospitando di recente i delegati di entrambe le parti, secondo quanto scriveva nei mesi scorsi il New York Times. Il nuovo scenario che si è creato aggiunge instabilità alla regione e ai confini con la Cina?

Il disimpegno occidentale dall'Afghanistan espone più di prima la Cina alle sfide della sicurezza nella regione centro-asiatica. Il governo cinese percepisce la minaccia del terrorismo, sia per le possibili ricadute nello Xinjiang, sia per gli effetti destabilizzanti sulla regione, bacino di risorse e fondamentale snodo di transito dei progetti infrastrutturali che alimentano l'economia del Paese. Pechino agisce attraverso un concreto impegno finanziario e quale promotrice del dialogo e della riconciliazione, sia a livello bilaterale che attraverso canali multilaterali ristretti. C'è, tuttavia, e comprensibilmente, molta prudenza sulla questione.

 

12 OTTOBRE 2015

 

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