Roma, 27 dic. - Nelle stesse ore in cui la Corea del Nord chiudeva le frontiere, Kim Jong-Un rendeva noto che dividerà il potere con lo zio e i generali. Negli ultimi giorni si è parlato di grande insicurezza rispetto a una successione politica avvolta nell'incertezza.
La morte di Kim Jong-il era in bilancio da tempo; la designazione del terzogenito Kim Jong-Un, risale a oltre un anno e mezzo fa. La vera novità consiste nell'accelerazione degli eventi in una realta' locale non usa a molti e troppo rapidi cambiamenti. La chiusura delle frontiere è espressione di una nazione che esercita un controllo serrato sull'accesso al Paese, pertanto non ritengo che costituisca elemento indice di eccessiva preoccupazione. Allo stesso modo, non va enfatizzata troppo la sola tenuta del potere all'interno del regime nord-coreano, che presenta un quadro tutt'altro semplice e lineare soprattutto se guardiamo le cose in una prospettiva temporale più ampia. In una realtà così articolata e complessa, anche fattori culturali e storici, non solo l'attuale situazione, influenzano le modalità di esercizio del potere da parte dell'establishment.
E' lecito ipotizzare un indebolimento del potere di Pyongyang? Un regime debole potrebbe spianare la strada a Seul verso una riconquista della penisola coreana?
Non sta sicuramente a me prevedere cosa possa accadere a Pyongyang. La successione a Kim Jong-il incarna, a mio avviso, l'esempio di una tradizione di articolazione del potere interno più complessa rispetto ad alcune schematizzazioni che circolano nella stampa occidentale. Nell'immaginario collettivo la Corea del Nord è percepita come un'area molto remota. Non è così: oggi, benché ancora in parte isolata, essa si situa al crocevia di Paesi caratterizzati da forti ritmi di crescita. Basti pensare alla Cina, con le città della fascia costiera settentrionale che si affacciano sul Mar Cinese. La collocazione della Corea del Nord al confine con aree ad alto dinamismo economico e forte livello di pressione demografica, è un elemento di importanza geo - strategica che spesso non viene tenuto nella giusta considerazione. Il problema dell'assetto politico non potrà nel lungo periodo non risentire della pressione ai confini e dell'evoluzione nell'intero nord est asiatico.
"Il potere in Corea del Nord è talmente nelle mani dei militari che temo non ci saranno cambiamenti, a meno che non si arrivi a una rivolta interna, così come è stato per alcuni Paesi arabi" ha dichiarato giorni fa Dini. Come si sente di commentare questa dichiarazione?
Ricordo che nel 2000 proprio il Presidente Dini, Ministro degli Esteri all'epoca, avviò l'apertura delle relazioni diplomatiche con la Corea del Nord. Siamo stati i primi a perseguire quest'obiettivo fra i Paesi del G7, e dopo di noi altri Paesi hanno seguito il nostro esempio. Un sistema formale di relazioni internazionali ha consentito di avviare il dialogo con un regime che, altrimenti, lasciato a se stesso, avrebbe mancato di utili stimoli e contatti con l'esterno. Non azzardo previsioni sulla situazione interna al Paese, ma posso rilevare che l'Italia dal 2000 conduce senza sosta un'opera di contatto forse poco nota ma efficace e soprattutto lungimirante. Lo scorso giugno, mi sono recato personalmente a Pyongyang a celebrare il 150° anniversario dell'unità d'Italia; ho incontrato il Ministro e Viceministro degli Esteri e altre autorità di governo, con cui ho sollevato temi per noi prioritari quali il ritorno al dialogo inter-coreano e ai negoziati per la non proliferazione e la denuclearizzazione della penisola coreana. Abbiamo inoltre discusso della nostra attività di cooperazione che, nel rispetto al regime sanzionatorio vigente, si presenta con un contenuto prevalentemente umanitario e di emergenza, sviluppando attività nel settore sanitario. E' per lo più concentrata nella regione del Kangwon, provincia oggi divisa tra la Corea del Nord e la Corea del Sud:
Avendo conosciuto da vicino gli esponenti del governo nordcoreano, è ottimista sulla graduale apertura della Corea del Nord? Che ruolo può avere l'Italia in questo processo?
L'Italia ha assunto un ruolo di rilievo nel momento stesso in cui ha avviato un processo di apertura delle relazioni diplomatiche poi seguito dalla maggioranza dei Paesi europei oggi rappresentati da propri Ambasciatori a Pyongyang o a Seoul. La cooperazione è uno strumento di dialogo particolarmente adatto in questa circostanza ma non l'unico. Molte le attività di natura sociale e culturali promosse: le dò un esempio: nel mese di giugno - in occasione del 150° dell'unità d'Italia - abbiamo portato in Corea del Nord un concerto preceduto da master class del Consorzio Stradivari dei Liutai di Cremona. Oltre ad assistere gli studenti della locale Università musicale per riparare i loro strumenti, essi hanno suonato anche a Pyongyang dopo averlo fatto pochi giorni prima a Seoul nell'edificio dell'Ambasciata, dando un segnale di unità ideale fra le due parti della penisola coreana con il linguaggio universale della musica. Un segnale gradito in entrambe le capitali. Molto va ancora fatto anche in ambito europeo; attraverso la cooperazione con la Corea del Nord, saremo in grado di interagire meglio con quella realtà e dare un contributo alla ripresa del dialogo sui temi della proliferazione nucleare. Questo richiamo può operare in ogni occasione ufficiale d'incontro con le controparti nordcoreane. Vanno al riguardo ricordate anche iniziative come i Seminari che si sono svolti in Italia fino al 2008 sul lago di Como, ove abbiamo messo assieme tecnici, scienziati e personalità dei due Paesi e di altri rappresentanti di Paesi dei "Six party talks".
La settimana scorsa, prima della morte di Kim Jong-Il , Pyongyang aveva all'improvviso annunciato di voler fermare il programma nucleare all'uranio che, come sappiamo, ha bloccato per anni la trattativa a sei sulla Corea. A suo avviso i colloqui a sei costituiscono anche per Pyongyang lo strumento più efficace per avviare la risoluzione del problema? Inoltre, quale potrà essere il futuro dei colloqui a sei, posto che sappiamo ancora poco sull'orientamento della nuova leadership?
Torno a porre l'accento sulla centralità della penisola coreana in correlazione con il nord-est asiatico. La crescita economica e la stabilità dell'area è nell'interesse di Paesi come la Cina, il Giappone, la Russia e gli stessi Stati Uniti. Non è detto che il modo in cui i "Six-party talks" sono nati e si sono sviluppati fino al 2008, seguirà lo stesso canovaccio per le future sessioni di dialogo. Il 2012 lascia ipotizzare che vi siano le premesse per una ripresa, ma sarebbe sbagliato fossilizzarsi su un'unica formula: l'approccio deve essere pronto anche a sostenere nuove dinamiche. Sicuramente, ci troviamo di fronte a un nuovo scenario in cui l'arricchimento dell'uranio è un fattore aggiuntivo di preoccupazione: lo scopo è ottenere garanzie da parte del regime di Pyongyang per un immediato abbandono di questa e di altre fonti di proliferazione.
Abbiamo saputo che la scomparsa di Kim Jong-Il ha scatenato una bufera sui servizi segreti sudcoreani, colti di sorpresa da una morte che risaliva addirittura al sabato precedente. Quali sono state in generale le reazioni sud-coreane alla notizia?
Non sono in grado di stabilire in che misura la Corea del Sud abbia potuto seguire gli ultimi eventi anche se report sulla salute di Kim Jong-il circolavano regolarmente da mesi. Posso dire con certezza che la preparazione al cambio di leadership nordcoreano era qualcosa che tutti avevano già messo in conto. Quando un passaggio di potere avviene in una cultura come quella nord-coreana – permeata di tradizione confuciana in cui l'autorevolezza e l'anzianità di un leader sono elementi importanti - i cambiamenti al vertice vanno seguiti da vicino e per un periodo protratto. D'altro canto la popolazione sudcoreana è abituata a convivere con un regime ostico al confine, tanto che non abbiamo assistito né a scene di panico né ad allarmi eccessivi. Seul ha adottato misure di sicurezza, ha mobilitato per esempio le Forze armate, ma senza incidere sulla libertà di movimento di cittadini e stranieri che fanno della capitale sudcoreana una città vivacissima e dinamica proprio al centro di quell'area del Nord est asiatico a cui correttamente guardano tanti imprese anche italiane, come ha mostrato a novembre la nostra recente missione economica di sistema in Repubblica di Corea.
di Alessandra Spalletta
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