In Cina scatta il « buy local»
Quando i venti di crisi soffiano sulla congiuntura, la Cina cade puntualmente vittima delle più bizzarre tentazioni autarchiche. Qualche giorno fa, il ministero dell'Industria ha emanato una circolare che vieta alla pubblica amministrazione l'acquisto di automobili straniere. O meglio, obbliga di fatto enti, società ed emanazioni governative a comprare vetture di fabbricazione locale. Tra i 412 modelli inseriti nella lista autorizzata dal dicastero, infatti, non figura neanche un'auto straniera.
Il che significa che anche le vetture totalmente made in China prodotte oltre la Grande Muraglia da gruppi come Volkswagen, Toyota o Audi (giusto per citare le marche più gettonate dalla pubblica amministrazione cinese) saranno presto escluse dalla lista dei fornitori di Pechino. Il provvedimento, tuttavia, sarà pressoché ininfluente sul business delle case automobilistiche internazionali. Lo dicono i numeri. Su 14,5 milioni di vetture passeggeri vendute sul mercato cinese nel 2011, meno del 5% sono state acquistate dalla pubblica amministrazione. Che, secondo le stime, ogni anno spende una cifra compresa tra 70 e 80 miliardi di yuan (tra 8 e 9 miliardi di euro) per rinnovare il proprio parco auto.
Ciononostante, la misura varata da Pechino ha un forte valore simbolico. Oggi come tre anni fa, infatti, quando in piena crisi economica il Governo varò la politica del "buy local", appena la congiuntura volge al peggio le prime a dover pagare pegno sono ancora una volta le aziende straniere.
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29/02/2012