In Cina l'Antitrust ora affila le armi
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In Cina l'Antitrust ora affila le armi

In Cina l'Antitrust ora affila le armi

Focus. Il ministero del Commercio prospetta un possibile altolà all'alleanza tra Rio Tinto e Bhp Billiton dopo lo «schiaffo» a Chinalco
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Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
L'alleanza tra Rio Tinto e Bhp Billiton dovrà passare sotto le forche caudine delle autorità antimonopolio cinesi. Lo ha fatto intendere chiaramente un funzionario del ministero del Commercio (Mofcom), il dicastero incaricato di valutare e sanzionare eventuali concentrazioni lesive della libera concorrenza sul mercato cinese.
Com'era prevedibile, Pechino non ha preso bene il secco no all'ingresso di Chinalco nel capitale del gruppo minerario anglo-australiano Rio Tinto. E ha già iniziato ad affilare le armi per rendere la vita difficile oltre la Grande Muraglia al nuovo colosso dei metalli ferrosi, sorto dalla santa alleanza in chiave anti-cinese stipulata la settimana scorsa tra Rio Tinto e la sua arcirivale di sempre, Bhp Billiton.
Occhio per occhio, dente per dente. C'era da aspettarselo. D'altronde, quella di Canberra è stata una bocciatura squisitamente politica, giacché, sotto il profilo finanziario, la proposta Chinalco era ineccepibile. E ora, in Cina, l'Australia dovrà sopportare tutte le conseguenze politiche di quella decisione.
Ma le minacce di ritorsione contro Rio Tinto-Bhp Billiton lanciate da Pechino nel nome della libera ed equa concorrenza, sollevano un inquietante interrogativo: in futuro la Cina potrebbe utilizzare la nuova legge antimonopolio, entrata in vigore nell'agosto 2008, per proteggere il proprio mercato da indesiderate aggressioni straniere? «A giudicare dalle decisioni prese dal Mofcom da quando è entrata in vigore la normativa, il rischio c'è. Ciò detto, la Cina sa bene che un approccio di questo tipo scatenerebbe una guerra protezionistica a livello mondiale», osserva Marco Marazzi, partner di Baker & McKenzie a Shanghai.
Dallo scorso autunno, l'Antitrust ha sentenziato tre volte nel merito di concentrazioni che vedevano protagoniste società straniere. Il verdetto più clamoroso è stato il no pronunciato tre mesi fa all'offerta da 2,4 miliardi di dollari lanciata da Coca-Cola per acquisire China Huiyuan Juice, il maggiore produttore domestico di succhi di frutta. Un no che diversi analisti hanno interpretato come una tardiva rivalsa al feroce fuoco di sbarramento politico fatto nel 2005 dagli Stati Uniti per bloccare l'acquisizione di Unocal da parte del colosso petrolifero cinese Cnooc.
«Forse è presto per sostenere che, nel caso di Coca-Cola, la Cina abbia fatto un uso politico della legge antitrust. Certo è che, per respingere l'operazione, il Mofcom ha utilizzato un dispositivo obsoleto come la leveraging theory, caduto ormai in disuso da decenni in quasi tutti i paesi del mondo», avverte Marazzi, lamentando una scarsità d'informazione sulle motivazioni che hanno condotto al rigetto dell'offerta di Coca-Cola.
Ma anche quando si è trattato di esprimersi sulle ricadute indirette di operazioni di Merger & Acquisition realizzate da società straniere fuori dalla Cina, l'Antitrust cinese non è stato molto tenero. Dopo aver acquisito la tedesca Anheuser Busch, il colosso belga della birra Inbev ha visto i sorci verdi per sistemare le varie partecipazioni detenute oltre la Grande Muraglia in linea con le condizioni dettate dal Mofcom. Mitsubishi Rayon, invece, dopo aver ricevuto il via libera all'acquisto dell'azienda chimica britannica Lucite da una dozzina di autorità antimonopolio nel mondo, è stata costretta a ridimensionare drasticamente la sua capacità industriale in Cina.
Adottando la linea dura anche su operazioni condotte lontane dai suoi confini, probabilmente, Pechino ha voluto trasmettere un messaggio importante alla comunità economico-finanziaria internazionale: d'ora in avanti, ovunque nel mondo, i progetti espansivi delle multinazionali dovranno fare i conti anche con le autorità antimonopolio cinesi. Più che legittimo. A patto, però, che l'Antitrust del Dragone si limiti a valutare solo il merito tecnico-giuridico delle operazioni di fusione e acquisizione che, direttamente o indirettamente, modificano la concorrenza sul mercato cinese.
Tutto dipenderà da come Pechino deciderà di utilizzare gli ampi margini di manovra di cui dispone nell'applicazione della legge antimonopolio. «Finora, la Cina non ha usato strumentalmente la nuova normativa contro le operazioni straniere – osserva Amedeo Celori di Chiomenti Studio Legale Shanghai – Ovviamente, la discrezionalità legata al concetto di sicurezza nazionale prevista dalla legge sarà un fattore importante nella valutazione delle operazioni di Merger & Acquisition su questo mercato. Ma questo principio è applicato anche in altri paesi dotati di sistemi giuridici molto più avanzati rispetto a quello cinese. In fondo, senza ricorrere all'antitrust, l'Australia ha bocciato l'operazione Chinalco proprio per ragioni di supremo interesse nazionale».
Ma c'è un altro aspetto della legge antimonopolio che potrebbe riservare sorprese. Finora, la nuova normativa è stata applicata solo alle concentrazioni industriali. La disciplina che concerne la formazione di cartelli, l'abuso di posizione dominante, gli accordi di restrizione della concorrenza (materie che, a causa di una bizzarra suddivisione delle competenze, non rientrano nelle prerogative del Mofcom) non hanno ancora trovato applicazioni concrete.
«Quest'altra parte della legislazione antitrust avrà effetti importanti sull'operatività di tutte le società straniere operanti in Cina, che nella predisposizione dei contratti, nei trasferimenti di tecnologie, nella costituzione di società miste dovranno tenere conto della nuova normativa - sostiene Marazzi - Per ora su tutte queste materie si sa poco e si naviga a vista. Vedremo come i tribunali cinesi interpreteranno la legge. Il primo test importante sarà sulle società in joint venture».
ganawar@gmail.com
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I precedenti interventi dell'autorità di Pechino
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Il ministero del Commercio cinese, appellandosi alla legge antimonopolio,
ha respinto un'offerta da 2,4 miliardi di dollari del gruppo Usa per acquisire il maggiore produttore cinese di succhi di frutta
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Il gruppo belga Inbev ha acquistato la tedesca Anheuser Busch. Le autorità antimonopolio
di Pechino hanno approvato l'operazione, imponendo però una serie di condizioni
al nuovo colosso della birra

Il gruppo giapponese ha acquistato Lucite, una società chimica britannica operante in Cina tramite una controllata a Nanchino. L'Antitrust cinese ha dato via libera, ma ha imposto a Lucite China una forte riduzione della sua capacità industriale nel paese


16/06/2009
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