In 10 anni presenza raddoppiata in Cina
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In 10 anni presenza raddoppiata in Cina

In 10 anni presenza raddoppiata in Cina

Termometro della congiuntura
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La Cina è saldamente nei piani di sviluppo delle aziende lombarde. L'indagine più recente di Confindustria Lombardia sull'internazionalizzazione delle aziende della Regione rivela che i tassi di crescita più elevati si registrano proprio in Asia orientale e, in particolare, in Cina.
In soli cinque anni la Terra di Mezzo ha visto crescere del 43,8% le presenze (da 313 a 450) e di oltre il 60% la consistenza delle partecipazioni (i dipendenti delle imprese partecipate passano da 18.700 a oltre 30mila).
In sintesi: nell'arco del decennio, le presenze lombarde in Cina sono più che raddoppiate, mentre il numero dei dipendenti è triplicato. Il responso è frutto delle valutazioni congiunte banca dati Reprint, Ice-R&P-Politecnico di Milano: il dato più significativo consiste nella specializzazione delle partecipazioni lombarde in Asia centrale e orientale, dove sembrano essersi meglio attrezzate rispetto alla media delle imprese italiane per cogliere le opportunità di un'area caratterizzata negli ultimi anni e, in prospettiva, anche per i prossimi «da elevati tassi di crescita e nella quale una presenza diretta è spesso condizione necessaria per conquistare quote di mercato significative e durature, stanti la distanza geografica e "culturale" che separa le nostre imprese da quei mercati». Ma si aggiunge: «È bene, tuttavia, ricordare come la presenza delle imprese italiane in Cina, India e negli altri paesi asiatici emergenti sia ancora lontana da quella delle imprese di altre economie avanzate che costituiscono i nostri più diretti concorrenti sui mercati internazionali».
Le valutazioni regionali trovano un riscontro nell'esito di un'altra indagine, quella sulle aziende milanesi, di prossima presentazione (il 5 marzo in Assolombarda, è basata su un campione di mille imprese, dati ottobre-novembre 2011) incentrata su scenari economici, politici e sul posizionamento delle aziende milanesi.
Tra le piazze estere sulle quali si svilupperanno le attività di internazionalizzazione di qui al 2014, la Cina guadagna il primo posto, seguita da Russia e Brasile: il primo Paese europeo – la Germania – viene solo al quarto posto. Il migliaio di imprese che nel 2011 hanno partecipato a questa indagine ormai consolidata di Assolombarda sui processi di internazionalizzazione fornisce una mappa accurata della distribuzione geografica delle imprese milanesi nel 2011. E ci dice anche come le direzioni di sviluppo che stanno modificando la mappa della localizzazione geografica delle imprese internazionalizzate milanesi sono sempre più evidenti, di qui il balzo di Asia e America nei prossimi tre anni se le attuali strategie di sviluppo verranno interamente portate a compimento. L'internazionalizzazione, tuttavia, per la quasi totalità delle imprese, avviene attraverso l'attività di esportazione: la quota del fatturato destinata ai mercati mondiali è elevata (36%) e per molte imprese arriva a superare il 50 per cento.
La quota di export è aumentata rispetto al 2010 (+3,4%), grazie ad un andamento delle vendite più positivo sui mercati esteri rispetto a quello interno. Spesso i mercati internazionali vengono presidiati anche con una presenza diretta. Una presenza che, nella maggior parte dei casi, è di tipo commerciale (uffici di rappresentanza o filiali di vendita o assistenza), ma a volte è anche di tipo produttivo o addirittura con centri di ricerca: un'evidente evoluzione, quindi, verso forme più articolate di internazionalizzazione rispetto alla semplice attività di vendita.
Insomma, ci sarà la Cina, ma anche una forte diversificazione geografica, quasi una forma di flessibilità. In media, infatti, ogni impresa milanese internazionalizzata è attiva in ben 14 Paesi diversi: una strategia di diversificazione molto più diffusa della media nazionale, il che dimostra rapidità di reazione e capacità di cogliere le opportunità che presentano mercati nuovi. L'altro lato della medaglia è l'assenza di radicamento su questi nuovi sbocchi: non sono rari i casi (13%, con punte del 19% tra le minori realtà) in cui le imprese in realtà concentrano su un mercato principale la quasi totalità delle loro vendite estere, destinando a tutti gli altri Paesi solo una quota marginale. Una forma di diversificazione del rischio destinata a contraddistinguere ancora per molto l'attitudine al posizionamento all'estero.
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15/02/2012
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