Il salvagente sgonfio della Cina
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Il salvagente sgonfio della Cina

Il salvagente sgonfio della Cina

INTERVISTA Michael Spence Premio Nobel 2001
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«È difficile che i paesi emergenti possano trainare la ripresa economica globale a ritmi sostenuti già nei prossimi anni. Loro avevano tassi di crescita elevati prima della crisi: come si può pensare che ora possano correre ancora più veloci per tirare il mondo intero?» Bastano poche semplici parole a Michael Spence, premio Nobel per l'Economia nel 2001 e oggi consulente dei fondi Pimco (gruppo Allianz), per dimostrare il suo scetticismo sulla ripresa veloce dell'economia globale. A suo avviso alle economie avanzate serviranno dai 5 ai 10 anni per tornare a crescere come facevano prima della crisi, mentre a paesi come la Cina serviranno gli stessi anni per realizzare quelle riforme strutturali che consentano loro di aumentare i consumi. Morale: per 5 o 10 anni l'economia mondiale camminerà col freno a mano tirato. Poi, piano piano, avverrà un ribilanciamento globale: la crescita si sposterà più sugli emergenti e meno sui paesi industrializzati. Questo sarà l'effetto finale della Grande crisi.
Il presidente della Fed, Ben Bernanke, sostiene che la Cina debba aumentare i consumi per trainare la ripresa economica globale. Può farlo?
Il problema principale della Cina è che il reddito disponibile delle famiglie è sceso negli ultimi anni dal 70% al 60% del Pil. Contemporaneamente il tasso di risparmio è molto alto, pari al 30% del Pil: i cinesi in sostanza si auto-assicurano per la vecchiaia e la malattia in mancanza di un sistema pubblico efficiente in quei settori. Per questo risparmiano tanto. La Cina se vuole aumentare i consumi ha dunque di fronte due sfide fondamentali: da un lato deve far ricrescere i redditi disponibili delle famiglie (quelli al netto delle tasse), dall'altro deve ridurre i risparmi di privati e imprese. Se il Paese riuscisse a riportare i primi al 70% del Pil e a ridurre i secondi al 20%, si aumenterebbero i consumi di almeno il 14%. In soldoni: ci sarebbero quasi 600 miliardi di dollari in più da spendere. Questo farebbe già una grande differenza.
Ma la Cina intende farlo? Il governo sta cercando di aumentare la copertura sanitaria e previdenziale?
Loro sanno che devono farlo. Stanno già lavorando in questa direzione, per stimolare la domanda locale. Ma devono lavorare duro e cambiamenti così strutturali non si fanno dall'oggi al domani. Servono anni.
In ogni caso crede che avverrà un ribilanciamento economico globale, con ricchezza e consumi che passano piano piano dai paesi industriali a quelli emergenti?
Il ribilanciamento è in atto. Ma credo che bisogna fare delle distinzioni nel campo degli emergenti. I più forti hanno buone opportunità per emergere davvero, i più deboli faranno più fatica.
Quali sono i forti?
Quelli ricchi di capitali umani oppure di risorse naturali. Per esempio la Cina, l'India, il Brasile e alcuni altri paesi asiatici. Questi paesi hanno buone potenzialità anche perché sono usciti bene dalle precedenti crisi, hanno ridotto i debiti pubblici e per di più non hanno titoli tossici nel sistema finanziario. Sono dunque in grado di resistere meglio agli shock. Il problema è che questo ribilanciamento avviene in un momento complicato.
Cioè?
Avviene mentre gli Stati Uniti hanno un deficit elevato, mentre i tassi d'interesse sono ai minimi (e questo è un incentivo all'eccesso di leva) e la liquidità è enorme: questo è un sistema fragile. La via d'uscita da questa situazione c'è, ma è molto difficile percorrere la strada giusta: nessuno sa veramente quale sia.
A suo avviso le banche centrali non stanno esagerando nell'immettere liquidità nel sistema? Non si rischia di creare una nuova bolla e una nuova crisi?
Non avevano scelta: senza questi interventi le conseguenze sarebbero state devastanti. In momenti come questi non ci sono grandi opzioni: devi scegliere tra il male, il peggio e la catastrofe. Meglio il male...
My.L.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

25/10/2009
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