Il ritorno degli emergenti
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Il ritorno degli emergenti

Il ritorno degli emergenti

Focus. Riviste al rialzo le stime per molti mercati - La crescente importanza della domanda interna
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Alessandro Merli
Con gli Stati Uniti e l'Europa che a stento rallentano la caduta dei mesi scorsi, la ricerca della locomotiva che possa trainare faticosamente l'economia mondiale fuori dalla prima recessione da decenni ha dovuto rivolgersi altrove. Così, per la prima volta nella storia economica contemporanea, nel 2009 a fornire un contributo positivo alla crescita globale saranno solo i paesi emergenti e in via di sviluppo. E, fra di loro, alcune delle più grandi economie emergenti dei cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), la sigla inventata negli anni scorsi dall'economista di Goldman Sachs, Jim O'Neil, per raggruppare le nuove potenze.
Volendo credere ai mercati finanziari come anticipatori delle tendenze dell'economia, qui la ripresa è qualcosa di più di un'aspettativa, o di un "germoglio verde", per usare le parole del presidente Usa, Barack Obama. Le Borse emergenti hanno realizzato negli ultimi tre mesi un rialzo record (oltre il 60% dall'inizio di marzo), anche se la flessione degli ultimi cinque giorni ha instillato almeno qualche dubbio sulla fragilità di questa percezione. E anche gli spread sulle obbligazioni, indicativi del rischio-paese, si sono nettamente ridimensionati rispetto al culmine della crisi finanziaria nell'autunno scorso e, nel caso degli stati ritenuti più solidi, sono rientrati su livelli pre-crisi.
È tornata di moda la teoria del decoupling, del possibile sganciamento delle economie emergenti da quelle avanzate, teoria avanzata dallo stesso O'Neill e che era rapidamente tramontata quando la crisi degli Usa prima e dell'Europa poi aveva travolto il resto del mondo, trasmettendosi soprattutto - secondo uno studio del Fondo monetario - attraverso il canale finanziario. Le previsioni per quest'anno e il prossimo sembrerebbero confermare che lo sganciamento è possibile: per Barclays Capital, i Bric cresceranno nel trimestre in corso del 5,1% per poi riacquistare un ritmo esplosivo del 7,3 e del 9,6% negli ultimi due trimestri 2009, a fronte di economie avanzate in contrazione dell'1% nel secondo trimestre e in crescita solo dell'1,5 e dell'1,8% nel terzo e nel quarto. Nel 2010 i Bric cresceranno del 6,7%, i paesi sviluppati dell'1,9.
La realtà è assai più complessa dei dati aggregati. Se c'è un decoupling, questo si applica non solo al confronto con i grandi paesi industriali, ma anche agli emergenti fra di loro. All'interno dei Bric, il vero catalizzatore della crescita è la Cina, per la quale tutti gli economisti, del settore pubblico e privato, stanno rivedendo al rialzo le stime, sull'onda dell'impatto dei piani di stimolo varati dal Governo, che per la prima volta sembrano aver spostato l'enfasi della crescita anche sulla domanda interna e non solo sulle esportazioni. Anche con l'inedita predisposizione alla frugalità dei consumatori americani, fino all'anno scorso ritenuti "l'acquirente di ultima istanza" per i produttori di tutto il mondo, ma soprattutto per quelli asiatici, l'economia cinese dovrebbe poter crescere quest'anno attorno all'8%. Per Michael Pettis, dell'Università di Pechino, la crisi è la prova che la Cina e l'Asia devono cambiare modello di sviluppo.
Il traino cinese dovrebbe esercitare qualche effetto positivo sul resto dell'Asia emergente (e persino sul Giappone). Dove le economie a più alto tasso di manifattura e di propensione all'export, come Corea, Taiwan e Singapore, hanno subito i contraccolpi più gravi della crisi globale, ma sembrano ora mostrare qualche segno di recupero anche sul terreno più difficile, l'export.
Da notare fra l'altro che, mentre i loro governanti discettano pubblicamente di creare una valuta di riserva alternativa al dollaro, le banche centrali dei Bric non abbandonano la vecchia strada dell'acquisto di dollari e quindi del mantenimento del cambio a livelli competitivi per favorire l'export: nel mese di maggio hanno comprato oltre 60 miliardi di dollari, gli acquisti più massicci dalla fase più acuta della crisi, nel settembre scorso.
All'estremo opposto del caso cinese, quello dei Bric che non sembra affatto in grado di contribuire alla crescita mondiale, e anzi è alle prese con enormi difficoltà di suo, è la Russia: tanto che sui mercati circola la battuta che ormai i Bric sono diventati Bic. Fortemente condizionata dal livello del prezzo del petrolio e del gas, Mosca ha accusato una caduta del Pil addirittura superiore ai paesi industriali e soprattutto ha alimentato molti dubbi sulla reale volontà di completare la trasformazione in economia basata sulla certezza del diritto. Solo l'enorme accumulazione di riserve durante il boom petrolifero (380 miliardi di dollari) rappresenta una rete di sicurezza contro la ripetizione dei disastri finanziari del passato.
India e Brasile si collocano a metà strada fra gli altri due grandi emergenti. Nessuno dei due immune dalla crisi, ma entrambi favoriti da un importante mercato interno. La potenza asiatica ha visto una flessione, ma non un crollo della crescita, e le aspettative sono rasserenate dalla conferma elettorale del Congresso e delle sue politiche pro-mercato. Il colosso sudamericano ha risentito di più della flessione delle materie prime fino a entrare in territorio negativo nel primo trimestre di quest'anno. Ma – sostiene Octavio de Barros, capo economista della banca Bradesco – la ripresa comincerà già nel secondo trimestre per le politiche economiche espansive, il mantenimento dei salari reali ad alti livelli, il ritorno della fiducia degli operatori economici.
E con lo spostamento della crescita verso l'asse dei Bric, o Bic, si sposta anche il peso della governance globale.
alessandro.merli@ilsole24ore.com
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6,7
Per cento
Secondo le previsioni
di Barclays Capital, nel 2010
i Bric (Brasile, Russia, India, Cina) cresceranno del 6,7% rispetto all'1,9% di cui sono accreditati i paesi sviluppati. Nel trimestre in corso, intanto, i Bric cresceranno del 5,1% per poi accelerare a 7,3% e al 9,6% negli ultimi due trimestri 2009
380
Miliardi di dollari
Valore delle riserve valutarie accumulate dalla Russia durante il boom petrolifero. Questa enorme cifra rappresenta una rete
di sicurezza contro il ripetersi dei disastri finanziari
che hanno caratterizzato
in passato l'economia russa

09/06/2009
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