Il riscatto del made in China
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Il riscatto del made in China

Il riscatto del made in China

La ripresa globale. Europa e Usa temono che Pechino sfrutti sempre di più i prezzi bassi per guadagnare quote di mercato
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Gianluca Di Donfrancesco
È a Pechino che il mondo guarda per risollevarsi dalla recessione e sempre più Pechino si cala nel ruolo di traino globale. A settembre le esportazioni cinesi hanno accusato la flessione più leggera degli ultimi nove mesi, mettendo anzi a segno un incremento rispetto ad agosto. Buone notizie, oltre ogni previsione, per la salute dell'economia mondiale, ma con qualche ombra. Perché la ripresa dell'export cinese significa sì che la domanda globale sta recuperando, ma certifica pure l'avanzata delle imprese cinesi sui mercati internazionali, a scapito dei concorrenti negli Stati Uniti e in Europa.
A settembre le esportazioni cinesi sono scese del 15,2% rispetto allo stesso mese del 2008, contro il -23,4% di agosto. Meglio ancora le importazioni, scese del 3,5% a settembre, rispetto al -17% di agosto. Mese su mese, l'export è aumentato del 6,3% e l'import dell'8,3. Il principale operatore del porto di Shanghai, il più importante del paese, ha registrato il primo incremento nel volume dei cargo da 11 mesi. La prossima settimana saranno diffuse le rilevazioni sul Pil: tutti questi dati lasciano ipotizzare che nel terzo trimestre la crescita si attesterà attorno al 9 per cento. Per il 2009 il passo potrà quindi attestarsi all'8,3% per accelerare al 9,4 nel 2010, quando la Cina supererà il Giappone e diventerà la seconda economia al mondo dopo gli Stati Uniti.
Dietro i risultati dell'export cinese c'è la ripresa dei consumi americani e tedeschi e l'aspettativa per un aumento degli ordini in vista del Natale. Ma non solo. I prodotti a basso prezzo gettati sul mercato dalle imprese cinesi piacciono sempre più a consumatori e imprese resi estremamente sensibili ai costi dalla recessione. E la continua conquista di quote di mercato da parte di Pechino ha già innervosito Washington e Bruxelles, che rispondono a colpi di azioni antidumping. L'idea, per dirla con le parole del New York Times, è che la Cina stia conquistando una fetta sempre più grande di una torta (il commercio globale) sempre più piccola, grazie alla sua capacità di abbassare i prezzi di produzione. Non a caso, proprio i prodotti ad alta intensità di manodopera sono quelli che si sono comportati meglio.
Il carburante per uscire dalla crisi, le imprese cinesi lo stanno trovando anche nella valanga di prestiti bancari: 516,7 miliardi di yuan (75,7 miliardi di dollari) a settembre, 8.670 miliardi da gennaio, 2,5 volte il valore dei primi nove mesi del 2008. Senza dimenticare il piano di stimoli da 586 miliardi di dollari messo sul piatto dal governo e il rigido controllo dello yuan, tenuto artificialmente basso dalla Banca centrale. Ora però la forza dell'economia preme sul cambio e gli investitori sono convinti che le autorità lasceranno apprezzare la moneta nei prossimi mesi (i contratti forward sono ai massimi da 13 mesi).
Continuano a crescere anche le riserve valutarie, che hanno raggiunto quota 2.273 miliardi di dollari (+141 milioni nel terzo trimestre). I capitali esteri affluiscono attratti dai rendimenti della Borsa di Shanghai (che ieri ha guadagnato l'1,2%) e dall'impennata dei prezzi immobiliari, più che attraverso il canale del surplus commerciale (che nel terzo trimestre si è fermato a 39,27 miliardi).

15/10/2009
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