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L'attribuzione del Nobel al dissidente Liu, che sta scontando una pena di 11 anni per «istigazione alla sovversione contro i poteri dello stato», è stata interpretata dal regime cinese come un affronto. «Siamo contro chiunque voglia fare una questione di Liu Xiaobo e interferisca negli affari giuridici cinesi - ha detto Jiang Yu, portavoce del ministero cinese degli Esteri - e non cambieremo a causa delle interferenze di alcuni pagliacci. Quelli del Comitato per il Nobel stanno orchestrando una farsa anti-cinese». Agli occhi di Pechino Xiaobo è un «criminale». Definizione che stride con la motivazione diffusa del Comitato per il Nobel: «Per oltre due decenni, Xiaobo è stato un fervido sostenitore dei diritti umani».
Immediate le reazioni delle organizzazioni per i diritti umani. «La Cina ha manovrato dietro le quinte per impedire ai governi di assistere alla cerimonia dei Nobel, con una miscela di pressioni politiche e ricatti economici: il fatto che, nonostante le pressioni e le minacce, sia stata in grado di catturare il consenso solo di una piccola minoranza di paesi, riflette la natura inaccettabile delle pretese di Pechino», ha dichiarato Sam Zarifi, direttore di Amnesty International per l'Asia. Oltre alla Cina, i paesi che non verranno «per varie ragioni» sono: Russia, Kazakhstan, Colombia, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Serbia, Iraq, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Filippine, Egitto, Sudan, Ucraina, Cuba e Marocco.
Sono passati ormai 21 anni da quando, nel 1989, il Comitato norvegese insignì della prestigiosa onorificenza il Dalai Lama, che commosse la platea quando ritirò il premio. Liu non ci sarà. In segno di solidarietà, venerdì la sua assenza sarà marcata da una sedia vuota, una fotografia, e la lettura di uno dei suoi testi. Una sedia vuota, che non potrà essere occupata dai parenti. Nemmeno loro sono stati autorizzati a lasciare la Cina.
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08/12/2010
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