Il made in Italy riprende slancio
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Il made in Italy riprende slancio

Il made in Italy riprende slancio

Export. Dal tessile alla meccanica imprese ottimiste sulle opportunità nell'area del dollaro
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Marco Ferrando
«Grazie ai nuovi rapporti di cambio, nelle ultime 2-3 settimane diverse aziende del nostro comparto sono riuscite a tagliare del 10% i listini delle filiali americane. Se in più consideriamo che a New York già a gennaio si era visto qualche movimento in più rispetto ai mesi passati, la speranza che l'aria stia cambiando c'è». Nelle parole di Rosario Messina, che da imprenditore nel 1978 ha fondato la Flou (letti) e oggi presiede Federlegnoarredo, c'è la sintesi perfetta dell'umore con cui il Made in Italy guarda ai mercati valutari in questo inizio d'anno: per arrivare alla soglia critica, quell'euro a 1,3 dollari oltre il quale si può tradizionalmente parlare di export a condizioni accettabili, serve ancora qualche passo; ma in due mesi la moneta unica ha perso quindici centesimi sul biglietto verde, e a quota 1,37 ci si interroga se siano maturi i tempi per recuperare un pò della competitività schiacciata dal peso dell'euro.
Certo è che la festa, sempre che di festa si tratti, potrebbe essere di breve durata. «Le nostre previsioni a 6 mesi collocano l'euro di nuovo al di sopra di 1,4 dollari. E tra un anno si attesterà a 1,45 - dice Fabrizio Guelpa, economista del servizio studi Intesa Sanpaolo. Dunque non c'è da perdere tempo: «Le opportunità da cogliere ci sono, anche sul breve periodo - prosegue ancora Guelpa. Ma chi riuscirà ad approfittarne? Le imprese che in passato ha saputo puntare sulla qualità, e presidiare le proprie quote di mercato in presenza di un euro fortissimo».
Se ancora una volta i beni di consumo potranno contare su una capacità di reazione più rapida dei beni d'investimento, per tutti la boccata di ossigeno sembra comunque un'opportunità per «rafforzarsi su mercati d'area dollaro diversi dagli Stati Uniti - osserva ancora Guelpa -. Sono molte le aziende che si stanno concentrando sugli emergenti: la Cina su tutti, ma anche il medio oriente, gli altri paesi dell'area mediterranea, l'America Latina». Processi in linea con le ultime previsioni Ice-Prometeia (che per il 2010-2011 prevedono un export in timida ripresa al ritmo del 3% per anno) e con quanto già messo in evidenza dai dati di gennaio sull'export extra-Ue diffusi in settimana dall'Istat, cifre che su base annua hanno visto crescere le vendite in Cina (+38,9), area Mercosur (+34,3%), India (+2,5) a fronte di un mercato statunitense (-1,9%) in cui la domanda continua a languere.
Già, la domanda. Quella che per Marco Fortis, vicepresidente della fondazione Edison, resta la "grande assente" oltreoceano. Al punto da porre le aziende italiane di fronte a un vero e proprio supplizio di Tantalo: «Vedono la ripresa a un passo, ma non riescono a raggiungerla perché mancano i consumatori con cui godersela. E, visti gli elevati livelli dell'indebitamento delle famiglie americane, non c'è da attendersi grossi scossoni sul breve periodo. Al di là di come andranno i rapporti di cambio».
Non a caso tra gli imprenditori c'è prudenza. Il 2009 è stato un anno troppo duro per potersi affidare a una fiammata del dollaro, per di più dovuta solo a una fase di debolezza dell'euro: secondo Alberto Caprari, presidente di Assopompe-Anima «ci troviamo ancora alle prese con una zavorra valutaria che non ci meritiamo. Lavorare a 1,35 non è molto diverso che a 1,5. Soprattutto per le piccole e medie imprese, che non sono sufficientemente internazionalizzate da compensare le vendite in dollari con gli acquisti». A capo di un'azienda che ottiene all'estero il 65% del suo fatturato, vede piuttosto un pericolo: «Se l'euro dovesse tornare in fretta a 1,5 e rimanerci per qualche anno, rischiamo un'invasione di prodotti made in Usa». In altre aree, come tra i gioielli di Valenza, per ora si guarda con una certa indifferenza ai mercati valutari e si punta il dito contro la contraffazione e i dazi: «Queste le priorità, non i pochi centesimi in più o in meno sul dollaro - dice il presidente dell'Associazione orafa valenzana, Bruno Guarona. Chi tiene un occhio ai cambi è Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, che sposta la soglia di sopravvivenza a 1,20 dollari per un euro: «A queste quotazioni potremmo tornare a margini accettabili», sostiene. Ma intanto resta ottimista: «Se il dollaro si manterrà anche solo sui livelli attuali per qualche mese, inevitabilmente saremo portati a scoprire nuove economie di prossimità, che ci mettano al riparo dal prevedibile rincaro dei trasporti e dei prodotti confezionati in area dollaro».
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+4,7%
Le esportazioni totali
Il 2010 è iniziato con un aumento delle esportazioni: per il mese di gennaio l'Istat ha infatti registrato una crescita del 4,7% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente +50,6%
Il traino della Turchia
In gennaio gli aumenti maggiori hanno riguardato la Turchia (+50,6%) e la Cina (+38,9%). In calo invece il Giappone (-10,1%), la Russia (-10%) e gli Usa (-1,9%)

28/02/2010
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