IL dribbling DEL FILTRO
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IL dribbling DEL FILTRO

IL dribbling DEL FILTRO

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Gioiscono in tanti. Gli utenti irrequieti, anzitutto. Le vittime della censura subito dopo. Dribblare i filtri che limitano la navigazione sul web è possibile, o meglio – a voler esser precisi e onesti – è sempre più facilmente praticabile. Chi vuole evitare gli inevitabili sgambetti dei filtri parentali, che in ufficio sono sempre più diffusi, sa di poter raggiungere le destinazioni proibite senza dover disporre di particolari grimaldelli software: basta qualche elementare conoscenza delle dinamiche di funzionamento del protocollo Http (Hyper Text Transfer Protocol) e delle modalità di interpretazione degli indirizzi Url da parte dei comuni browser.
Chi vuole connettersi a un determinato sito sa che basta digitarne il classico indirizzo preceduto dal www. Questo punto di partenza è ben noto a chi progetta sistemi di sicurezza e in particolare a chi disegna i "filtri" che riducono la libertà di movimento degli utenti. Il controllo è sintattico e prevede la verifica della presenza di un determinato Url all'interno della cosiddetta black-list, ovvero l'elenco delle destinazioni vietate: se la meta del cybernauta rientra tra quelle off-limit il viaggio virtuale viene bloccato e sullo schermo dell'interessato appare una dicitura che spiega l'accaduto e rimbrotta il tentato trasgressore.
Gli utilizzatori della rete un po' più pratici e smaliziati hanno ben presente l'azione dei filtri ed evitano di scrivere l'indirizzo con una sintassi che faccia scattare i meccanismi di "censura": il nome del sito è sostituito con il numero Ip corrispondente e questo per molto tempo è stato sufficiente a prendersi gioco di chi – in ambito privato e pubblico – sperava di frenare il turismo telematico dei propri dipendenti. La successiva mossa sul fronte del l'internet filtering è, ovviamente, stata quella di arricchire il database dei siti proibiti con le sue coordinate telematiche numeriche. Scacco matto.
Il "coup de teatre" che ribalta le sorti a vantaggio del free-climber del web è un minuscolo virtuosismo di carattere matematico. Un vecchio trucco, che suonava già stantio quando ne spiegai la pericolosità in un convegno alla Corte di Cassazione alla fine del 2000 e che adesso riconquista la ribalta a comprova che nulla (o troppo poco) è stato fatto nel decennio...
Una "magagìa" – come diceva Nino Frassica – alla portata solo di super-esperti? Niente affatto. Il nome del sito web diventa il numero Ip corrispondente e se lo si vuole conoscere basta fare "ping" con "esegui" nel menu Start di Windows. Quei quattro numeri (compresi tra 0 e 255) separati da un punto devono essere convertiti nel corrispondente valore esadecimale. Basta aprire la calcolatrice scientifica e avere pazienza di annotare su un pezzo di carta o in un file testo i caratteri alfanumerici man mano ottenuti. Si arriva a redigere una successione di otto elementi (tra lettere e cifre) che va inserita nella calcolatrice impostata su "Hex": completata la digitazione è sufficiente fare clic su "Dec" per ottenere la conversione della sequenza di interesse.
Se si vuole raggiungere Google – a Pechino ne sanno qualcosa – si può scrivere 1113984355 e il gioco è fatto: tale cifra è quella che deriva dalla "traduzione" in esadecimale – 42660D63 – del numero Ip originario 66.102.13.19 corrispondente al motore di ricerca. Provare per credere (anche se il browser dirotterà l'utente italiano su google.it).
Umberto Rapetto
umberto@rapetto.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

01/04/2010
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