Il Congresso Usa vota i dazi per « punire» lo yuan cinese
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Il Congresso Usa vota i dazi per « punire» lo yuan cinese

Il Congresso Usa vota i dazi per « punire» lo yuan cinese

Stati Uniti. Proposta democratica al vaglio del Senato
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NEW YORK
Il Senato americano alza il tiro contro la Cina: vuole ritorsioni commerciali contro Pechino a causa della svalutazione dello yuan. E il Governo introduce una nuova nota polemica: il protezionismo, in un momento di difficoltà economica, non ha mai aiutato nessuno. Nella notte americana era dato per certo il via libera del Senato alla proposta di legge che, se approvata anche alla Camera e ratificata dal presidente Barack Obama, darebbe al dipartimento al Commercio e al Tesoro nuovi margini di manovra nel penalizzare i Governi accusati di manipolare la propria valuta, Pechino in testa.
La legge anti-Cina è approdata in Senato con il sostegno dei democratici, in particolare quello di Charles Schumer che aveva definito la politica monetaria cinese «un omicidio economico». Il testo è andato al voto nonostante l'appello a «non ostacolare lo sviluppo delle relazioni tra Cina e America» arrivato la settimana scorsa dal portavoce del ministro degli Esteri di Pechino Yang Jiechi.
La legge, più stringente rispetto a precedenti proposte volte ad aumentare i dazi doganali, penalizzerebbe le esporazioni cinesi e consentirebbe al dipartimento al Commercio di annullare il vantaggio di una moneta sottovalutata attraverso i cosiddetti "countervailing duties" (diritti di compensazione, ovvero imposizioni fiscali che si aggiungono ai dazi doganali per riequilibrare il prezzo di prodotti esteri che nel Paese di provenienza godono di un regime fiscale più favorevole).
Se al Senato era appunto prevista l'approvazione con consenso bipartisan, le sorti del provvedimento sono più incerte alla Camera dei Deputati a maggioranza repubblicana, dove un voto non è ancora stato messo all'ordine del giorno. La legge dovrebbe poi essere ratificata dal presidente Barack Obama, in bilico tra le pressioni che arrivano dalla base democratica a mostrare i muscoli con chi "ruba" i posti lavoro agli americani e la necessità di non intaccare l'equilibrio delicato dei rapporti con Pechino, già messi a dura prova dalla "guerra di valute" dello scorso anno. Al di là dell'esito del voto e delle possibili contestazioni della Wto, la questione è destinata a creare polemiche visto che ricorrere al protezionismo o a ritorsioni commerciali è da sempre considerato il peggior antidoto in un momento di crisi economica globale come quella attuale.
Dopo la preoccupazione espressa venerdì dal portavoce della Casa Bianca Jay Carney, per il momento l'amministrazione americana non si sbilancia: «Stiamo esaminando la legge e le implicazioni di una sua applicazione, anche in relazione agli obblighi imposti dalla Wto», ha detto il sottosegretario al Commercio americano Francisco Sanchez.
È chiaro che Obama cerca di premere sull'acceleratore sulle questioni commerciali, non riuscendo a sbloccare, nonostante gli appelli a superare le divergenze politiche, lo stallo sulla legge di stimolo da 447 miliardi di dollari per ridare slancio al mercato del lavoro. Arriverà nei prossimi giorni, ha detto il presidente, l'atteso annuncio sugli accordi commerciali con Corea del Sud, Colombia e Panama che dovrebbe mettere la parola fine a un braccio di ferro politico ed economico che dura da cinque anni. Al termine di un incontro con Ron Kirk, negoziatore americano per le questioni commerciali, Obama ha detto che le liberalizzazioni «aiuteranno la crescita». E ancora una volta ha spostato l'attenzione su quello che più gli sta a cuore: l'approvazione immediata del piano per il rilancio dell'occupazione.
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04/10/2011
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