Accuse di spionaggio, raffreddamento delle relazioni diplomatiche, quattro arresti, gli interrogativi della comunità internazionale del business e - sullo sfondo- la gigantesca partita per l'accesso alle materie prime: la saga Cina - Rio Tinto si arricchisce di un nuovo capitolo. Il Sydney Morning Herald, uno dei più autorevoli quotidiani australiani, cita fonti "vicine al governo cinese", secondo le quali il presidente Hu Jintao avrebbe "personalmente appoggiato" le indagini sulla Rio Tinto, il gigante australiano del settore minerario, culminate con l'arresto per spionaggio di quattro dipendenti della sede di Shanghai. Non solo: secondo l'Herald l'inchiesta sui quattro rifletterebbe un cambiamento dell'approccio cinese alle questioni di economia internazionale, nel quale tutte le agenzie di sicurezza del Dragone starebbero giocando un ruolo strategico di primo piano. Ma come si è arrivati alle accuse di spionaggio? E perché il braccio di ferro tra Pechino e il colosso minerario potrebbe ripercuotersi sugli investimenti internazionali in Cina? Rio Tinto è il secondo gruppo minerario per produzione di metalli grezzi al mondo; la Cina è il primo consumatore globale di queste risorse, di importanza vitale per sostenere lo sviluppo del paese. L'arresto dei quattro executive è avvenuto proprio qualche settimana dopo il fallimento dei negoziati tra Pechino e le tre compagnie minerarie leader nel mondo – Rio Tinto, BHP Billiton e Vale- per fissare un nuovo prezzo sulle forniture di lungo periodo: se infatti le acciaierie cinesi chiedevano una riduzione tra il 40 e il 45% rispetto all'anno scorso, i produttori hanno offerto un abbassamento del 33% (la stessa tariffa applicata a un consumatore di gran lunga meno importante della Cina come il Giappone), prontamente rifiutato da Pechino. I signori cinesi dell'acciaio si erano presentati al tavolo delle trattative già indispettiti, avendo assistito l'anno scorso ad aumenti fino al 97% e al successivo crollo dei prezzi, andati giù sull'onda della crisi globale. Secondo i media cinesi gli investigatori sono in possesso di prove che dimostrerebbero come i quattro arrestati- tre cinesi e un sino australiano- avrebbero corrotto alcuni funzionari di Pechino e passato alla Rio Tinto notizie riservate come il prezzo massimo stabilito dalla Cina per l'acquisto dei minerali, gli inventari, i costi e i dettagli sulla produzione di ogni singolo produttore d'acciaio del paese; tutte informazioni capaci di garantire agli australiani un indubbio vantaggio nelle trattative. La diplomazia australiana sembra muoversi in queste ore con cautela ma con decisione: l'ambasciatore cinese è stato convocato due volte nel giro di una settimana per ottenere maggiori dettagli sulle accuse e sullo stato degli arrestati, mentre il ministro delle Finanze Lindsay Tanner ha dichiarato che l'Australia non userà la "diplomazia del megafono" per la liberazione dei quattro impiegati. "I nostri rapporti con il governo cinese stanno continuando attraverso i canali formali – ha detto ancora Tanner- ed è molto importante che in situazioni delicate come queste, quando c'è in gioco la libertà di alcuni individui, governi e ministri stiano molto attenti ai loro commenti pubblici". Il ministro dei Servizi Finanziari australiano Chris Bowen ha però sottolineato che la questione dovrebbe suscitare anche le preoccupazioni del governo cinese: "Se le compagnie estere percepiscono che il grado di incertezza in Cina è in aumento, tutto l'affare potrebbe influire negativamente sugli investimenti esteri nel paese". Le accuse di spionaggio potrebbero effettivamente mettere sulla difensiva il mondo del business straniero nell'Impero di Mezzo: la Rio Tinto era stata anche al centro di una scalata da parte del gigante cinese Chinalco, fallita il mese scorso soprattutto a causa dei timori australiani in merito al diretto accesso cinese alle risorse naturali del paese. Una scalata fallita, negoziati sulla riduzione dei prezzi andati a monte: anche se fonti cinesi vicine al governo hanno dichiarato all'Herald che gli arresti "non sono una vendetta per l'affare Chinalco", ci sono troppi elementi in gioco per non pensare a una rappresaglia. "Le leggi cinesi sul concetto di segreto di stato sono vaghe ed ambigue- dice James Zimmermann, partner nell'ufficio di Pechino dello studio legale Squire, Sanders & Dempsey- e forniscono uno spazio molto ampio alle interpretazioni". Secondo l'avvocato statunitense Steve Dickinson, che opera a Qingdao per lo studio Harris&Moure, il caso Rio Tinto avrà un immediato effetto negativo sugli investimenti programmati dalle compagnie cinesi all'estero, non solo in Australia, ma anche in America ed Europa. Un ex negoziatore della brasiliana Vale Sa, altro colosso minerario, ha definito la corsa alle materie prime una "gigantesca, complessa partita a scacchi". In cui, a questo punto, i quattro dirigenti arrestati a Shanghai starebbero giocando il ruolo di pedine.