Il (caro) do ut des di Pechino
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Il (caro) do ut des di Pechino

Il (caro) do ut des di Pechino

DEBITO SOVRANO DELL'EUROZONA
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Ci salverà la Cina? Negli ultimi giorni si è molto parlato della possibilità che istituzioni finanziare cinesi intervengano a difesa del debito italiano acquistando in massa i nostri titoli di Stato. Valutiamo i costi e benefici dell'operazione dal punto di vista cinese alla luce delle tendenze recenti nell'investimento sovrano.
Sul fronte dei benefici, comprando titoli di Stato italiani la Cina rafforzerebbe l'euro e di conseguenza la competitività del proprio export sul principale mercato di sbocco e diversificherebbe meglio un portafoglio sbilanciato a favore di titoli americani. Infine, intervenendo ad arginare una crisi sistemica la Cina guadagnerebbe credito nei mercati internazionali e ulteriore considerazione nel dialogo con le economie sviluppate. I costi sarebbero comunque notevoli e legati al rischio di perdite significative in conto capitale. Con questi tassi i rendimenti dei titoli italiani sono interessanti, ma i leader cinesi non vogliono certo mettere a repentaglio ricchezza nazionale a favore di un Paese occidentale, come accadde nel 2008 quando la Cina contribuì a salvare Wall Street subendo perdite enormi.
I benefici ci sono, ma il contesto di grande incertezza suggerisce gradualità e prudenza. È quindi improbabile che una quota rilevante del nostro debito pubblico finisca presto in mani cinesi: ci aspettiamo invece acquisti limitati sui titoli di Stato come contropartita in altre acquisizioni strategiche con finalità di diversificazione e penetrazione commerciale. Quanto investirà Pechino in Italia e in quali settori? Il Governo cinese si muoverà eventualmente attraverso la State administration of foreign exchange (Safe), che amministra le riserve valutarie, e la China investment corporation (Cic), uno dei maggiori fondi sovrani globali. La Safe gestisce oltre 3.200 miliardi di dollari riserve in valuta investiti in titoli a basso rischio di cui circa un quarto denominato in euro. La sua asset allocation è top secret, ma da indiscrezioni risulta che la parte del leone della quota investita in Europa sia rappresentata da titoli AAA tedeschi e francesi, 50 miliardi in titoli spagnoli, circa 80 in titoli italiani. Con beneficio di inventario, la Safe dovrebbe detenere circa il 2,5% del suo portafoglio in titoli italiani.
Nel primo semestre, la Safe ha investito 275 miliardi di dollari, quindi, assumendo che mantenga la stessa allocazione di portafoglio, potrebbe acquistare entro l'anno 6/7 miliardi di euro di titoli italiani.
Il fondo sovrano Cic gestisce 409 miliardi di dollari con strategie di investimento che puntano anche ai rendimenti oltre che alla preservazione del capitale. Il 27% del Cic è investito in obbligazioni, di cui il 38% in debito sovrano. Nell'ipotesi che mantenga nell'obbligazionario la stessa ripartizione geografica riportata per l'azionario (il 22%), possiamo stimare che il Cic abbia in portafoglio oggi circa 7 miliardi di euro di titoli di Stato europei di cui una quota trascurabile italiani.
A meno di cambiamenti radicali nelle strategie di investimento, le possibilità di un salvataggio "cinese" dalla nostra crisi del debito non trovano riscontro nei dati. Nella migliore delle ipotesi, la Cina potrebbe intervenire sottoscrivendo solo una piccola quota (tra il 5% e il 6 % dei nostri 111 miliardi di titoli in scadenza entro l'anno).
Anche se non ci risolverà del tutto il problema, una boccata d'ossigeno da parte cinese ci farebbe bene. Ma come l'esperienza degli altri Paesi ci insegna, il pasto non sarà gratis. Nel gennaio scorso, la condizione che ha sbloccato l'acquisto dei bonos è stata la vendita a Sinopec di circa 7 miliardi di dollari di asset brasiliani dell'oil company spagnola Repsol. Analogamente la promessa di acquistare titoli greci è stata affiancata dalla richiesta di una concessione al gigante dei trasporti cinesi Cosco per lo sviluppo di un nuovo terminal merci al Pireo.
Qualcosa di simile è avvenuto in Portogallo, dove la visita ufficiale del premier Hu Jintao è stata occasione per la firma di una serie di accordi commerciali che hanno dato luce verde a un limitato intervento sul debito. Prepariamoci dunque a negoziare con la Cina. Ma con gli spread che salgono e la credibilità istituzionale che scende, è probabile che a spuntare un buon affare sarà Pechino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

22/10/2011
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