ICE, INVESTIMENTI PECHINO ANCORA SOTTO POTENZIALITA'
di Alessandra Spalletta
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Roma, 25 giu. - “La Cina è ancora oggi fonte di squilibri commerciali e finanziari, il gigante asiatico con 4 trilioni di riserve genera un forte flusso di investimenti e un gigantesco surplus che va ridimensionato” lo ha affermato il presidente dell'Agenzia Ice Riccardo Maria Monti al convegno “La cooperazione finanziaria italo-cinese ai fini dell'internazionalizzazione” organizzato con l'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese e la SACE. Dal confronto fra i due sistemi bancari “deve nascere una visione” su cooperazione e sostegno agli investimenti e all'interscambio commerciale fra i due paesi. Ne sono convinti i relatori intervenuti al convegno: l'Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese S.E. Li Ruiyu, l'Amministratore Delegato della SACE Alessandro Castellano, Gianfranco Bisagni di UniCredit, Bing Li di Bank of China, Gianluca Lauria del Gruppo BNL Paribas, Yangkun Jin di Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), Zhe Zhang di China Costruction Banck, Pierfancesco Gaggi di ABI, Lingh Wang della filiale europea di UnionPay , Giuseppe Parigi di Banca d'Italia e Lorenzo Stanca di Mandarin Capital Partners.
“I rapporti economici tra Italia e Cina sono discontinui”: secondo Monti sul piano dell'interscambio commerciale, l'Italia registra nei confronti della Cina un deficit più forte di quello maturato nei confronti della Russia; quest'ultimo si spiega per via delle forniture di energia, mentre quello sviluppato nei confronti del Drago si concentra prevalentemente sulla manifattura. “Il flusso commerciale deve diversificarsi, dai beni di consumo ai prodotti agroalimentari che rivestono una fetta di mercato ancora piccola”.
I dati relativi al 2014, secondo il World Trade Atlas e l'elaborazione di Ice Pechino, indicano che le esportazioni italiane verso la Cina sono cresciute del 9,77%, raggiungendo il valore di 19,27 miliardi di dollari Usa. L'export cinese verso l'Italia è invece cresciuto dell'11,68% salendo a quota 28,76 miliardi di dollari. L'andamento del 2014 colloca l'Italia al 28mo posto tra i fornitori della Cina e al quarto posto dopo Germania, Francia e Regno Unito per quanto riguarda i fornitori europei.
Anche sul piano degli investimenti bilaterali c'è molto lavoro da fare, ma si parte da un dato positivo: l'Italia soprattutto negli ultimi tempi è diventato uno dei primi paesi di destinazione per gli investimenti cinesi: “i dati non sono chiarissimi, ma l'Italia è sul radar screen degli investitori asiatici, e le banche cinesi sono uno dei veicoli primari di incoming”.
Per Ice, tuttavia, l'investimento cinese resta molto al di sotto delle potenzialità che il nostro sistema può offrire ai capitali cinesi ed una più attenta e focalizzata politica di attrazione. “Dobbiamo trovare progetti concreti su cui aziende italiane e istituti finanziari cinesi possono collaborare” ha dichiarato all'Agi il presidente dell'Ice Riccardo Monti. “In questo momento c'è un flusso importante di investimenti in uscita dalla Cina, le banche cinesi hanno ricevuto un chiaro input dal governo cinese di espandersi all'estero e diventare attori globali. La volontà delle banche cinesi di finanziare iniziative in giro per il mondo, da un lato, il bisogno di finanziamento da parte delle imprese italiane, dall'altro: offerta e domanda non si sono ancora incontrate perché c'è un deficit di esperienza. Noi dobbiamo come organismo promozionale, aiutare domanda e offerta a incontrarsi. La speranza è di attivare questo canale di collaborazione sui paesi terzi, il sistema infrastrutturale italiano ha un bisogno fortissimo di generare progetti pur avendo una difficoltà finanziaria specialmente nei paesi emergenti”.
I flussi turistici sono in aumento, anche grazie alle “agevolazioni per il rilascio dei visti e a una maggiore capacità di accoglienza e gestione delle strutture aeroportuali, e all'estensione di circuiti finanziari come Union Pay che facilita gli acquisti”. La rapida diffusione della carta di credito cinese, spiega il vice presidente della filiale europea di UnionPay Linghan Wang, è sorprendente: cresce con un tasso del 100% e viene oggi accettata dall'80% degli sportelli bancomat.
Ad avere maggiori difficoltà sono soprattutto, ancora oggi, le aziende italiane che si affacciano sul mercato cinese. Sull'accesso al credito e al finanziamento diretto c'è ancora molto da fare. “Le nostre aziende hanno difficoltà ad accedere al credito delle banche cinesi” conclude Monti. Icbc, con 300 miliardi di capitalizzazione, aprirà a breve due nuovi sportelli a Roma, vicino piazza di Spagna. “Un segnale importante in un'aerea che ha bisogno di collaborazione”.
“La finanza è linfa vitale per l'economia reale: per rafforzare l'interscambio commerciale tra Cina e Italia, non possiamo fare a meno della cooperazione finanziaria”. Ne è convinto l'Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese, S.E. Li Ruiyu. L'operazione Zoomlion-Cifa, il perfezionamento degli investimenti cinesi in Ansaldo Energia dell'anno scorso, sono per l'Ambasciatore Li fiori all'occhiello. La carne al fuoco non manca. “L'anno scorso la visita del premier cinese Li Keqiang in Italia si è conclusa con la firma di accordi commerciali per un valore di 10 miliardi di dollari. Con la visita del presidente del consiglio Matteo Renzi in Cina è stato annunciato il piano di azione triennale. L'Italia è inoltre tra i paesi fondatori dell'Aiib. Dobbiamo rafforzare la cooperazione industriale lungo la via della seta e allargare la cooperazione sui paesi terzi”.
Ridurre lo squilibrio commerciale è possibile secondo Li. “La Cina non vuole rapporti sbilanciati, ma desidera che le imprese italiane rafforzino il proprio sviluppo. Da parte cinese, come nel settore agro-alimentare che ha registrato un aumento d'importazione di carne, c'è una maggiore predisposizione all'apertura”. Modello win-win, quindi. Ma l'Italia deve fare di più per facilitare l'emissione dei visti turistici, le complicazioni burocratiche sono ancora troppo forti, sottolinea l'Ambasciatore. Oggi sono 100 milioni i cinesi che escono dalla Cina per turismo. Ma i paesi europei per rilasciare il visto richiedono troppe informazioni, causando lungaggini e disagi.
Per Alessandro Castellano, amministratore delegato Sace (che in questi giorni ha lavorato all'accordo con Bank of China per espandere interscambi e investimenti) quella tra Italia e Cina è una partita calcistica giocata in ritardo. “Perdiamo 1 a 7 con la Germania, che esporta in Cina per un valore di 1 trilione contro i 400 milioni dell'Italia. Se vogliamo vederla in positivo, abbiamo ampi margini di recupero, bisogna però agire diversamente dal passato: avere una gestione condivisa del rischio”. Fino a qualche anno i paesi offrivano maggiori garanzie sovrane agli investimenti, oggi invece il rischio è per il 90% privato e solo per il 10% sovrano. “Dobbiamo creare una matrice nuova che veda Sace e istituti finanziari misurarsi sul supporto delle aziende. E' fondamentale la condivisione del rischio con le banche cinesi, che oggi adottano regole applicate in tutto il mondo”. Il mondo gira a credito. Su alcuni settori, come cantieristica, macchinari, e beni strumentali dove i pagamenti sono a 12 anni, “Sace cerca di collaborazione con il partner cinese per realizzare investimenti che abbiano beneficio. Non dimentichiamo che per la Cina investire in Italia e in Europa, rispetto agli Stati Uniti, significa avere una meno facile diversificazione del rischio e minore liquidità, che è ciò che l'investitore vuole, ovvero comprare asset che possano essere rivenduti facilmente”.
Appare a tutti chiaro che oggi, per le banche, affiancare i clienti nelle attività di internazionalizzazione è fondamentale. Sempre più numerosi gl'istituti di credito italiani presenti in Cina con filiali operative, tra cui Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Bnl. Cresce anche la presenza delle banche cinesi in Italia: Bank of China, Icbc, China Construction Bank, con un totale raccolta di circa 1 miliardo di euro. Secondo il responsabile Relazioni Internazionali della Banca d'Italia Giuseppe Parigi “l'operatività delle banche cinesi in Italia è da ricondursi principalmente alla presenza, con diverse forme, di intermediari molto orientati al trade financing. Nel complesso, è una presenza ancora esigua”.
“Il nostro ruolo è fare da ponte tra aziende italiane e cinesi per realizzare investimenti” afferma il generale manager della filiale di Milano della Icbc Yangkun Jin. “La Cina offre mercato e capitali, l'Italia tecnologia avanzata e qualità. Banche italiane e cinesi possono collaborare. Un esempio: Icbc ha individuato una ditta cinese di Dalian per l'acquisizione di un'azienda italiana in difficoltà per carenza di fondi, Acc compressor di Belluno. Un'operazione di 14 miliardi di euro che ha consentito all'azienda di salvare oltre 140 posti di lavoro mantenendo intatta la propria struttura”.
Su una cosa sono tutti d'accordo: gl'istituti di credito cinesi sono forti nel trade finance che ha “un ruolo chiave nell'assicurare i flussi di commercio internazionali. La presenza di filiali di una banca italiana in un paese straniero, aumenta la probabilità che un'impresa già cliente della banca inizi a esportare in quel mercato” dice Parigi. Il principale fattore che spiega la predominanza di trade finance è costituita dal ruolo centrale delle banche nel sistema finanziario: un'affinità tra Italia e Cina.
Per Parigi la “nuova normalità” cinese sul piano finanziario significa maggiore integrazione per lo più attraverso gli investimenti diretti all'estero (IDE). “La Cina oggi è il secondo paese al mondo per destinazione, terzo per origine degli IDE”. Secondo i dati Ice, nel 2014 gli Odi (outbound) della Cina hanno raggiunto il livello di 102,9 miliardi di dollari usa, in aumento dai 90,2 miliardi del 2013. Tra gli IDE cinesi in uscita si riduce il peso degli investimenti nel settore minerario e in quello manifatturiero, mentre aumenta quello dei servizi: ovvero il settore finanziario. Dallo scoppio della crisi finanziaria globale gli IDE cinesi nell'area dell'euro sono cresciuti in modo molto rapido. “A influire sulla crescita, bassi prezzi delle attività necessità di assicurarsi l'accesso alle risorse naturali a quella di acquisire brand, know how e tecnologie avanzate”.
Le riforme possono influenzare la composizione degli investimenti esteri, mentre l'internazionalizzazione del RMB riflette iniziative di policy ma anche market driven. Per Parigi i dati economici sull'interscambio tra i due paesi non sono poi così negativi. Anzi: dal 2010 l'export italiano verso la Cina è cresciuto nonostante la crisi più che in altri mercati: il contenuto di valore aggiunto italiano nei prodotti europei venduti in Cina è assai elevato e si stima che tra esportazioni dirette e indirette arrivi fino a circa il 30% del totale assorbito dalla Cina. I legami tra i due paesi si stanno intensificando. “C'è grande interesse da parte delle imprese italiane a investire in Cina (siamo passati dal 1,8% del 2007 al 2,2% del 2013) ma siamo ancora lontani dai livelli raggiunti da Germania e Francia. Aumenta anche l'esposizione delle banche italiane sull'estero diretta verso la Cina seppure in un quadro di “deleveraging”: l'1,74% delle esposizione delle banche europee. Le banche italiane occupano in Cina un ruolo marginale, a fronte di quello più ampio degli altri principali partner europei, come i giganti anglosassoni”.
L'integrazione finanziaria della Cina è stata sin qui sbilanciata: dal lato dell'attivo della posizione patrimoniale verso l'accumulo di riserve, dal lato passivo della posizione patrimoniale verso gli IDE. “Ma il progressivo abbandono del modello di crescita export-and-investment-led verso un'economia knowledge-driven si rifletterà in una ricomposizione dell'attivo e del passivo sull'estero”, aggiunge Parigi.
Un tema a parte è quello dell'internazionalizzazione del Renminbi (RMB). “L'internazionalizzazione della moneta cinese è sostenuta dal suo utilizzo come valuta di regolamento delle transazioni commerciali soprattutto in Asia” scandisce il responsabile di Banca d'Italia. Ma se si diffonde l'utilizzo del RMB nelle transazioni commerciali e come valuta per le riserve, per l'utilizzo della valuta cinese nelle transazioni finanziarie la strada è ancora lunga, anche se il fatto che lo yuan sia oggi la quinta valuta al mondo di regolazione per le transazioni globali su Swift sia un dato rilevante. “L'integrazione finanziaria è molto più lenta di quella commerciale”.
A Parigi fa eco il managing partner del Fondo Mandarin Lorenzo Stanca: “Il dilemma per la Cina oggi è rendere da un lato il RMB valuta internazionale ma dall'altro esporsi a una maggiore instabilità”. “La mia impressione è che sul piano della collaborazione finanziaria tra istituti di credito, ci sia ancora poco di concreto. Quello delle banche cinesi è un mondo a parte, per ragioni di impostazione culturale. Le cose stanno cambiando, però non possiamo immaginare una integrazione rapida del mondo finanziario cinese con il nostro. E questo vale anche per l'internazionalizzazione del Renminbi, che è espressione di un paese che ha un controllo sui movimenti di capitale ancora molto forte, un vincolo formidabile all'effettivo utilizzo della valuta nelle transazioni internazionali”.
Sul piano dell'internazionalizzazione delle imprese italiane in Cina, invece, qualche novità rispetto agli anni scorsi c'è, secondo Lorenzo Stanca, interpellato da AgiChina: “Gli ultimi 12 mesi hanno visto un forte aumento dell'interesse e delle operazioni chiuse da parte di gruppi cinesi in Italia, contemporaneamente è in aumento anche l'attività delle imprese italiane in Cina. Con una differenza tra i due flussi: le aziende italiane che vanno in Cina sono di media dimensione - l'ossatura del nostro sistema economico -. Le nostre aziende , dopo anni di avventura in Cina non proprio di successo, sembrano aver maturato la capacità, anche con il sostegno di vari soggetti, come il Fondo Mandarin, di riuscire a penetrare nel mercato cinese. Viceversa, quello che vediamo arrivare dalla Cina sono soprattutto investimenti di grandi aziende, quando ci provano aziende di media dimensione, le cose sono molto più complicato”. Per le aziende cinesi investire al di fuori del proprio paese, è molto più difficile che per quelle italiane investire in Cina. “L'aumento degli investimenti cinesi in Italia è reale, se consideriamo che fino a qualche tempo fa l'Italia non era tra gli obiettivi degli investitori cinesi. Al di là dei proclami e delle spinte dei governi, il tema di fondo è che per le aziende cinesi crescere al di fuori dei propri confini è molto complesso, la Cina che per tanti anni è stato chiuso al mondo, ha un capitale umano che quando mette il piede fuori entra in crisi”.
25 giugno 2015
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