Roma, 25 feb. – Per più di duemila anni sono stati riveriti, rispettati dalla società e accuditi dai familiari che hanno assicurato loro una vecchiaia felice e senza particolari preoccupazioni, ma nel 2011 gli anziani in Cina hanno poco di cui essere sereni. Il tradizionale rispetto e la pietà filiale, capisaldi dell'etica confuciana, sono stati a lungo oggetto di lotta da parte del regime comunista deciso a rovesciare qualsiasi legame con gli insegnamenti del filosofo di Qu e con il passato. La terza età è poi passata definitivamente in secondo piano in seguito all'introduzione nel 1979 della politica del figlio unico che ha spostato in modo repentino l'attenzione dai nonni ai nipoti, o meglio all'unico nipote, oggetto perciò di attenzioni smisurate. Il risultato che ne è derivato consiste in una mancanza di attenzione verso la tutela degli anziani tra le mura domestiche, cui si aggiunge una scarsa copertura pensionistica offerta dallo Stato. Un problema tutt'altro che trascurabile visto il rapido passo con cui la Cina ha, per così dire, raggiunto la terza età.
Sulla base dei criteri stabiliti dall'ONU, un Paese è considerato "anziano" quando le persone con un'età superiore ai 65 anni superano il 7%; o quando più del 10% della popolazione ha più di 60 anni. Il numero degli ultrasessantenni cinesi è passato da 41 milioni nel 1950 a 167 milioni nel 2009. Un trend destinato a crescere ancora: secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, infatti, nel 2020 ad aver superato la soglia dei 60 saranno oltre 248 milioni di cinesi, cifra che quasi raddoppierà nel 2050 incidendo su un quarto della popolazione.
Due i fattori che hanno impresso un così veloce ritmo di invecchiamento ai cinesi: la normativa sul controllo delle nascite che ha visto crollare l'indice di fertilità a 1,5% - nel 1970 era pari a 5,8% – e un aumento della speranza di vita che, dalla fondazione della Repubblica popolare, è passata da 41 a 70 anni. Nonostante la legge obblighi i figli o, in caso d'inadempienza, i nipoti ad assistere i propri genitori in tarda età, ciò che si verifica in pratica è che spesso questi ultimi non possono contare sulle generazioni future, che di frequente lavorano lontano o hanno stipendi con cui non riescono a fronteggiare le necessità economiche. L'unica fonte di sussistenza per gli anziani cinesi è quindi la pensione.
Allo stato attuale però il sistema di tutela degli anziani è tutt'altro che omogeneo e le disparità si avvertono in modo particolare tra campagne e città. Quello delle pensioni costituisce infatti il principale nodo al pettine per il partito comunista cinese: superare tali disuguaglianze - hanno sottolineato più volte i vertici del PCC - è una precondizione indispensabile per assicurare la felicità della popolazione e costruire una "società armoniosa". La legittimità del governo cinese si fonda infatti proprio sulla capacità dei politici di garantire la pace sociale e uno sviluppo sostenibile attraverso la redistribuzione delle ricchezze. Ed è proprio questa la prossima sfida contenuta nel dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) e illustrata in occasione dell'ultima Assemblea nazionale del popolo (ANP), terminata qualche giorno fa (questo dossier). "La Cina ha 170 milioni di abitanti oltre i 60 anni - ha detto il ministro per le Risorse Umane e la Sicurezza Sociale Yin Weimin -, circa il 12.8% del totale. Dobbiamo studiare la maniera più adeguata per investire i fondi ed espandere il valore delle pensioni man mano che la nazione si sviluppa e la popolazione invecchia".
La copertura pensionistica cinese tutela soprattutto i lavoratori urbani – che raggiungono l'età pensionabile a 60 anni (gli uomini) e 55 anni (le donne) - e gli impiegati pubblici – 55 gli uomini e 50 le donne-. In particolare, il sistema di tutela degli anziani si articola in tre grandi categorie: il sussidio dell'unità lavorativa, l'assicurazione urbana e quella rurale. A beneficiare dei privilegi del sussidio integrativo sono gli impiegati pubblici, i funzionari statali e quelli governativi e i pensionati dei monopoli. Allo stesso tempo queste stesse categorie, unite ai pensionati delle imprese, aziende o enti, rientrano anche nel programma di assicurazione urbana. "Fino agli anni '90 le imprese cinesi non avevano accantonamenti per la sicurezza sociale: lo stato stabiliva che tutti i profitti delle imprese statali dovessero essere consegnati direttamente allo stato e che le pensioni o i fondi pensionistici dovessero essere considerati costi di quelle imprese" spiega su Mondo Cinese Wei Nanzi, PhD in scienze politiche presso la Scuola di Alti Studi di Scienze Sociali di Parigi. Nel 1997 il governo ha emanato la "Decisione del Consiglio di Stato sulla costituzione di un sistema assicurativo di base per i dipendenti delle imprese".Da allora – continua ancora Wei – a seconda della data di collocazione a riposo e dell'impiego, i pensionati delle imprese si dividono in tre gruppi".
Del primo gruppo fanno parte coloro che hanno raggiunto l'età pensionabile prima dell'entrata in vigore della Decisione; questa fascia percepirà una pensione secondo quanto previsto in precedenza, ma essa subirà adeguamenti in base alle politiche future. I lavoratori collocati a riposo durante l'entrata in vigore della normativa devono versare al fondo assicurativo almeno 15 anni di contributi così come quelli andati in pensione dopo la Decisione. Questi ultimi, una volta in ritiro potranno percepire una pensione minima composta da una pensione base e una individuale. La prima equivale al 20% di uno stipendio medio, la seconda a 1/20 della somma accumulata come conto personale. Questo sistema urbano cambia però a seconda della regione e dell'azienda creando notevoli disparità.
Decisamente meno 'ricco' è il sistema di tutela degli anziani delle campagne. Nel 2009, al fine di migliorare la copertura assicurativa degli agricoltori, il governo ha dato il via a un esperimento che prevede l'istituzione di piani pensionistici speciali. Secondo questo progetto pilota, i contadini di età superiore ai 60 anni possono beneficiare del nuovo fondo pensionistico. Le precedenti disposizioni sulla previdenza agricola erano principalmente a carico del contadino stesso secondo un metodo di auto-deposito, mentre con il nuovo fondo pensionistico rurale il contadino riceverà una duplice rimunerazione: la prima su base individuale, la seconda costituita da un sussidio collettivo e da un sovvenzione governativa. Il nuovo fondo pensionistico rurale garantisce ai destinatari un doppio pagamento, uno costituito dalla pensione di base e l'altro da un conto personale, di cui la prima completamente finanziata dallo stato.
Secondo i dati forniti dal vice ministro per le Risorse Umane e la Sicurezza Sociale Hu Xiaoyi nel corso dell'Assemblea Nazionale del Popolo, al momento circa 143 milioni di contadini sono coperti dall'esperimento di sistema pensionistico del 2009, ma la somma che percepiscono corrisponde a 55 yuan mensili (circa 6 euro). Le linee generali annunciate dal premier Wen Jiabao prevedono che nel 2011 il sistema dovrà coprire il 40% delle contee cinesi (rispetto all'attuale 24%), per poi garantire una copertura totale a tutti i residenti delle zone rurali nel 2015.
I lavoratori migranti, che si spostano da una provincia rurale alle aree urbane, rientrano invece in una categoria a parte: dal 1 febbraio 2009 essi – spiega ancora Wei - possono aderire al programma assicurativo per le aree rurali e possono godere di contributi minimi, conti individuali trasferibili e benefici analoghi a quelli dei lavoratori urbani. Per coloro che hanno versato contributi per almeno 15 anni - se sono entrati nel nuovo fondo pensionistico delle aree rurali in vigore dove avevano il domicilio - il conto personale e gli altri benefici pensionistici saranno trasferiti nella provincia d'origine. Benefici che però molto probabilmente non saranno equiparati a quelli dei lavoratori urbani impiegati nelle aziende nonostante la maggior parte dei lavoratori migranti che si sposta nelle città in cerca di lavoro venga proprio assorbito dalle aziende.
Al di là dei progressi compiuti negli ultimi anni, la strada verso un livellamento delle disuguaglianze in fatto di tutela degli anziani è ancora lunga. Oltre a ciò il Dragone si ritrova a fare i conti con un altro problema di grossa portata: quello costituito dal debito pensionistico. Secondo una stima della Banca Mondiale, la Cina si ritrova con un debito pensionistico che oscilla tra il 120% e il 140% del PIL. Una cifra impressionante se si considera che su 780 milioni di lavoratori solo 150 milioni godono di una copertura pensionistica. Intanto la spesa per le pensioni cresce a ritmi superiori al 20% all'anno. "Nel 2008 il governo cinese ha speso oltre 739 miliardi di yuan per un numero di poco superiore ai 53 milioni di residenti nelle aree urbane" spiega Mark Frazier professore di politica cinese all'Università dell'Oklahoma. L'anno scorso, invece, sono stati raccolti contributi per 1.300 miliardi di yuan e sono state versate pensioni per mille miliardi di yuan. E il costo per un pensionato cambia da zona a zona: a Shanghai, dove le persone in ritiro sono circa il 20% degli abitanti, a sostenere la spesa di un pensionato è un cittadino e mezzo, il rapporto medio nazionale è invece 1 a 3,5.
Mentre il Dragone invecchia, il dibattito su una riforma delle pensioni si fa sempre più vivo. A gettare ulteriore benzina sul fuoco è stato il recente esperimento avviato a Shanghai che prevede una flessibilità di proroga di 5-10 anni dell'età pensionabile. Attualmente quindi gli shanghainesi possono decidere se lasciare il posto a 50 e 55 anni, a seconda se l'impiegato è donna o uomo, oppure continuare fino ai 60-65. Una proposta che fa molto discutere. Alcuni analisti sostengono che prorogando anche solo di un anno l'età minima pensionabile gli effetti sul deficit sarebbero tangibili: più di 400 milioni di euro sarebbero convogliati così nel social security fund e il debito pensionistico calerebbe di 20 miliardi di yuan. Poco più che una goccia in un oceano, ribattono i contrari i quali aggiungono che se è vero che molte persone ancora 'giovani' eserciterebbero così il loro diritto a lavorare, è anche vero che per molti cinesi lavoro è sinonimo di fatica e di manualità. Inoltre una carriera lavorativa più lunga riduce il ventaglio di opportunità di assunzione per i giovani. "Bisogna ideare un sistema più unificato rispetto al multilivello attuale – governo, impresa e conto individuale - che espone il Paese a rischi politici, fiscali e sociali. Allo stesso tempo però bisogna ritardare l'età pensionabile" sostiene Zheng Bingwen dell'Accademia di scienze sociali.
Resta però lo squilibrio tra le pensioni riservate ai funzionari pubblici, quelle dei lavoratori delle imprese e quelle degli agricoltori. Come risolvere quindi questo problema? Per Fan Yi, Vice Presidente della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (CCPPC) della municipalità di Ningbo, la soluzione è solo una: un sistema pensionistico unico per tutto il Paese. "Il personale dipendente del governo e delle istituzioni statali dovrebbe pagare lo stesso premio assicurativo per la previdenza sociale, e i salari dovrebbero confluire in un fondo di previdenza sociale pubblico ad uso dell'amministrazione". Fan propone inoltre l'istituzione di un sistema pensionistico su base territoriale, che preservi le differenze regionali e abolisca le differenze professionali, in modo che la pensione venga calcolata in base ai contributi versati e a quanto è stato percepito prima del pensionamento; in questo modo sarà possibile implementare le politiche di sussidio in ambito finanziario e garantire l'erogazione puntuale delle pensioni.
Mentre la soluzione al complesso problema della tutela degli anziani tarda ad arrivare, la popolazione ultrasessantenne diventa sempre più povera, complice anche l'inflazione che attanaglia il gigante asiatico – a febbraio l'indice dei prezzi al consumo si è attestato a 4,9 (questo articolo), -. E se tra i principali obiettivi di Pechino si colloca la stimolazione della domanda interna, è certo che con una così ampia fetta di popolazione in gravi difficoltà economiche i consumi interni tarderanno a decollare.
di Sonia Montrella
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