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Al telefono la segretaria di Hu Shuli è gentile ma impaziente. Si sente che ha fretta di chiudere. «No, al momento la signora non vuole parlare. Ma lei lasci in ogni caso il numero che non si sa mai». Il non si sa mai invece si sa fin troppo bene. Dopo che la scorsa settimana la notizia delle minacciate dimissioni della giornalista economica più influente della Cina ha fatto il giro del mondo, la fondatrice nonché direttore di Caijing magazine, un misto tra Business Week e Barron's, di gran lunga la rivista economica venduta del paese, ha deciso di sparire. Forse per meglio dedicarsi al braccio di ferro ingaggiato con la proprietà che le aveva chiesto di essere più compiacente con l'establishment, meno grintosa nelle sue inchieste. Forse perché una parola di troppo, un mezzo passo falso, può esserle fatale, sta di fatto che Hu Shuli ha fatto perdere le tracce. Risultato, cercarla a Pechino è inutile, si è negata persino ai suoi amici americani che ne hanno grande considerazione, tanto che tutti i giornali si sono mobilitati facendo del suo caso una battaglia di principio. E invitando i cinesi, è il caso di The New Republic, a non farsi del male, disperdendo un'esperienza che costituisce la prova della loro ritrovata modernità.
La controversia testimonia comunque che non è facile fare la paladina del libero giornalismo in un paese che ogni tanto si ricorda di essere stato un regime comunista e interviene con la forbice sui media. Proprio perché ne era consapevole, Hu Shuli aveva un progetto: allargare la compagine azionaria ad altri soci, in modo da attenuare il controllo di Seec media group, il colosso a maggioranza statale di Hong Kong che ne è l'attuale padrone. In caso contrario, avrebbe fatto sapere di essere pronta ad andarsene per fondare un altro giornale, insieme a una settantina tra giornalisti e dipendenti pronti a seguirla. Ma colei che è stata definita dal Palazzo come «la donna più pericolosa della Cina» spera ancora che la vertenza si possa ricomporre, confidando sul fatto che, «rimestando nella melma in cerca di verità» (copyright del New Yorker) Caijing magazine ha fatto guadagnare un sacco di soldi al suo editore.
Quello che è sicuro è la sua determinazione nel voler continuare a fare quel giornalismo investigativo e di denuncia che ha consolidato negli anni la carriera della 56enne giornalista, iniziata all'indomani dei fatti di piazza Tiananmen. È lì che, partecipando alle manifestazioni, intuisce come da quel bisogno di libertà possa nascere l'esigenza di un nuovo spazio editoriale, di un'informazione il più possibile libera da censure. L'ultima battaglia di Hu Shuli risale a giugno, contro la decisione del governo di installare nei computer un software, Green Dam - diga verde - per bloccare l'accesso a certi siti, specialmente pornografici, ritenuti dannosi per la formazione delle giovani generazioni. Proprio in un suo intervento sul Caijing magazine la pluripremiata giornalista faceva notare come, al di là di tutto, Green Dam, presto ribattezzato Leaky Dam, diga che fa acqua, ponesse il problema del rapporto tra autorità e diritti civili, e di come la censura preventiva potesse facilmente allargarsi per coprire l'informazione sgradita al potere.
Tra i suoi più famosi scoop, la denuncia nel 2000 di alcuni casi di insider trading ad opera di potenti uomini d'affari del paese e due anni dopo, ancora più dirompente, quello sui tentativi del governo di nascondere l'esplodere dell'influenza aviaria quando il virus fece la sua prima apparizione nella provincia del Guandong. Donna dal carattere forte, Hu Shuli è nota anche per il sarcasmo con cui prende di mira l'informazione di regime. Una volta, durante un dibattito negli Usa, raccontò di come l'agenzia di stato Xinhua abbia fatto un'ampia e dettagliata cronaca di un volo spaziale arrivato alla 30ˆ orbita, ma che in realtà non aveva ancora lasciato la base di lancio. Per contro, Hu Shuli ha sempre rivendicato lo scrupolo con cui i suoi giornalisti lavorano, spesso raccogliendo informazioni per settimane o mesi, e sottoponendole ad accurata verifica prima di pubblicarle. «In molti casi - disse allora con tono sconsolato - ci serve ad avere la storia pronta nel momento in cui Xinhua, dando la notizia, ne certifica la sua verità».
P.Mad.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LA PASIONARIA DI PECHINO
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Hu Shuli, 56 anni (nella foto), è direttrice della rivista economica cinese Caijing, che basa il suo successo sul giornalismo investigativo e la sfida all'establishment. Hu ha iniziato la carriera dopo i fatti di piazza Tiananmen, pensando che il bisogno di libertà di quei giorni aprisse nuovi spazi editoriali
Le pressioni dell'editore
Il Seec media group, colosso statale di Hong Hong, è proprietario del magazine e di recente ha chiesto alla direttrice di essere più compiacente con il regime. La giornalista ha quindi ingaggiato un braccio di ferro con la proprietà per difendere la libertà di stampa. Ha anche pensato di fondare un suo giornale
23/10/2009
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