Di Eugenio Buzzetti
Pechino, 17 giu. - Il ritorno a Hong Kong del quarto libraio dei cinque scomparsi nei mesi scorsi ha riaperto la polemica tra l'ex colonia britannica e le autorità di Pechino. Lam Wing-kee, tornato sull'isola martedì scorso, ha affermato di essere stato sottoposto a detenzione per mesI, di essere stato bendato durante gli interrogatori, e di avere subito violenza sottolio profilo psicologico negli otto mesi in cui è stato a disposizione delle forze dell'ordine cinesi. In conferenza stampa, Lam ha anche parlato della confessione rilasciata di fronte alle telecamere di Cctv, che ha dichiarato essere stata preparata in precedenza ed essere stato costretto a recitarla.
Di fronte alla stampa di Hong Kong, Lam ha poi parlato dell'altro libraio scomparso, Lee Bo, il cui caso aveva scatenato anche una polemica tra Cina e Gran Bretagna nei mesi scorsi, perché in possesso di passaporto britannico e perché l'unico dei cinque librai a scomparire direttamente da Hong Kong, alimentando i dubbi di un'azione della polizia cinese sul suolo dell'ex colonia britannica. Lee Bo è stato prelevato da Hong Kong contro la propria volontà, ha affermato Lam, citando proprio lo stesso Lee e smentendo, quindi, la versione ufficiale secondo cui il libraio di Causeway Bay si sarebbe recato in Cina senza l'utilizzo della coercizione. "Se non parlassi - ha dichiarato Lam - Hong Kong sarebbe senza speranza. Non è solo una questione personale".
Le dichiarazioni del libraio hanno scatenato le proteste del gruppo pro-democratico di Hong Kong Demosisto, che tra i leader annovera Joshua Wong, uno dei volti più noti della manifestazioni studentesche di Occupy Central di fine 2014. Il gruppo ha manifestato di fronte alla sede dell'ufficio di rappresentanza di Pechino sull'isola, protestando contro la detenzione in Cina dei librai. Critiche alla Cina sono arrivate anche da Amnesty International, che ha parlato di "detenzione arbitraria" dei librai della casa editrice Mighty Current, specializzata in titoli di gossip politico che prendono di mira i vertici del Partito Comunista Cinese. Alle affermazioni di Lam ha fatto eco la portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying. Lam Wing-kee, ha spiegato, "è un cittadino cinese e ha violato le leggi della Cina sulla mainland", e il suo caso è stato trattato dalla polizia "in base alla legge". Hua ha poi ribadito il rispetto da parte di Pechino del principio "un Paese, due sistemi" che regola il rapporto tra la Cina e la regione amministrativa speciale di Hong Kong.
17 GIUGNO 2016
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