GUANGDONG TEATRO DI NUOVE PROTESTE

Pechino, 29 nov.- Resta alta la tensione nel Guangdong dove due nuovi focolai di proteste si sono aggiunti a quelli delle ultime settimane. Un ulteriore testimonianza di come nella provincia definita "cuore pulsante dell'industria cinese" il vertiginoso sviluppo ha generato il più alto livello di malcontento sociale del Paese. A fare da sfondo alle proteste, è stata prima Zhaoqing dove migliaia di proprietari di piccole imprese che lottano contro il rincaro degli affitti si sono scontrati con le forze della polizia. E poi è toccato a Heshan, vicino Canton, in cui gli abitanti in massa alzano la voce contro la vendita illegale di immobili in comproprietà.
Il proprietario di un negozio di giade ha riferito ieri che gli scontri con la polizia a Zhaoqing sono iniziati venerdì e si sono protratti nel fine settimana. "Un migliaio di commercianti di un mercato locale di giade ha dato inizio allo sciopero, ha occupato le strade, bloccato il traffico e danneggiato l'ufficio per la gestione degli immobili destinati al commercio. Poi il brusco confronto con la polizia". L'uomo ha spiegato che l'ira dei commercianti è dovuta al fatto che mentre negli ultimi anni i prezzi delle vendite al dettaglio sono rimasti invariati, quelli degli affitti immobili sono triplicati. Le proteste sono rientrate, alcuni manifestanti sono stati arrestati, il commercio delle giade ha ripreso ieri le attività, ma la polizia sta ancora pattugliando la zona.
Nel frattempo, fa sapere la Xinhua, ieri a Heshan circa 400 persone hanno manifestato fuori l'Ufficio del governo provinciale del Guangdong e del quartier generale provinciale del Partito Comunista. I petitioner sostengono che Feng Weigen, capo del villaggio, ha illegalmente venduto fabbricati e immobili per uso commerciale che appartenevano alla collettività. L'uomo e alcuni dei suoi subordinati sono stati arrestati e indagati per vendita di beni statali dal valore di milioni di yuan. A mandare su tutte le furie i manifestanti sembra sia stata la notizia del presunto rilascio dell'uomo.
Il caso va inoltre ad alimentare le speculazioni che circolano sul web secondo cui il segretario locale del partito comunista e governatore della provincia Wang Yang - tra gli astri nascenti del Partito Comunista Cinese, che in molti vedono proiettato verso una posizione di vertice nel 2012, quando l'amministrazione centrale di Pechino subirà un ricambio - avrebbe ordinato al dipartimento di propaganda provinciale di mettere fine alle restrizioni sui rapporti dei media. Dello stesso avviso è Joseph Cheng Yu-shek, esperto di scienze politiche alla City University di Hong Kong, secondo cui l'incremento del numero di rapporti sulle sollevazioni popolari apparsi negli ultimi tempi sui media deriva proprio dalla posizione più liberale assunta da Wang rispetto ai suoi avversari politici allo scopo di spianarsi la strada verso il Comitato permanente del Politburo.
Qualunque sia il motivo, il malcontento della popolazione sembra trovare ora più spazio sulle pagine dei giornali. Solo nell'ultima settimana si contano almeno cinque proteste nell'area del delta del Fiume delle Perle. Dapprima è stata la volta degli scontri di Lufeng contro le espropriazioni territoriali coatte; poi dei 7000 lavoratori della Yue Yuan Holding, una fabbrica di Dongguang che produce scarpe New Balance, Adidas e Nike, i quali hanno manifestato contro i licenziamenti e i tagli agli stipendi. Poco dopo hanno incrociato le braccia 400 operaie della Top Form Underware, azienda di Shenzhen che produce reggiseni, che hanno fermato i macchinari e detto no ai soprusi e gli stipendi bassi (questo articolo). Casus belli della protesta, 'l'invito' a "saltare giù dal palazzo e andare all'inferno' di uno dei datori di lavoro rivolto a una delle dipendente L'episodio avrebbe finito per innescare la miccia in un ambiente in cui la tensione è ai massimi livelli dal febbraio scorso, quando la Top Form decise di modificare il sistema di retribuzione dei dipendenti passando dal modello salariale al pagamento a pezzo con una sostanziale diminuzione dello stipendio. Infine è toccato alla Jingmo Electronics Technology, azienda di componenti elettronici taiwanese che rifornisce tra gli altri anche l'IBM, la cui produzione è paralizzata negli stabilimenti di Shenzhen è rimasta bloccata per alcuni giorni dopo che i lavoratori hanno deciso di protestare contro i bassi stipendi e le pessime condizioni lavorative cui sono sottoposti (questo articolo).
"Per molto tempo il Guangdong, al primo posto tra le province più ricche e popolose, ha potuto contare su un surplus di forza lavoro che ha permesso alle fabbriche di mantenere gli stipendi bassi e di prolungare la durata della giornata lavorativa" spiega Wang Erping, studioso di proteste sociali all'Accademia di Scienze Sociali di Pechino. "Adesso che le zone occidentali e quelle interne del Paese stanno vivendo un periodo di sviluppo, la disponibilità di manodopera si è frammentata. Le zone in cui si stanno creando nuove opportunità di lavoro – prosegue Wang - sono infatti spesso le stesse da cui provengono la maggior parte dei lavoratori migranti che non sono più costretti a spostarsi". Non solo. Sembra inoltre che molte aziende preferiscano trasferire la produzione dal Guangdong, dove il costo del lavoro è il 20%-30% più alto che nel resto della Cina, ad altre province più economiche.
Questi fattori, uniti al calo della domanda di prodotti destinati all'export, sta creando nel Guangdong il terreno fertile per lotte salariali combattute da lavoratori sempre più coscienti dei loro diritti e sempre più piegati da un incremento del costo della vita cui non riescono a far fronte.
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