Grexit: cosa cambia per Pechino, intervista a Geraci

Di Eugenio Buzzetti

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Pechino, 26 giu. - Le prossime ore saranno decisive per il futuro della Grecia all'interno dell'Euro e dell'Unione Europea e le vicende di Bruxelles non lasciano indifferente Pechino, che ufficialmente si aspetta un accordo in tempo utile per salvare il Paese dal default. Ancora oggi la Cina, a poche ore dalla partenza per Bruxelles del primo ministro Li Keqiang, per prendere parte al vertice tra Cina e Unione Europea di settimana prossima, ha fatto voto di fiducia nei confronti dei negoziati in corso. "La Cina vorrebbe vedere la Grecia rimanere nell'Eurozona - ha spiegato il vice ministro degli Esteri di Pechino, Wang Chao - e apprezza gli sforzi delle parti coinvolte a tale riguardo".

Dietro la facciata istituzionale, le cose potrebbero, però muoversi diversamente. Pechino è uno spettatore interessato alla trattativa in corso, e starebbe vivendo la crisi del debito greco con particolare apprensione, almeno da parte di alcuni investitori preoccupati delle prossime mosse del governo guidato da Alexis Tsipras, come scriveva ieri il Financial Times, ma guardando anche alle possibilità che si potrebbero schiudere nel caso di un fallimento. "Alla Cina conviene aspettare - afferma ad Agichina Michele Geraci, direttore del China Economic Research Program, presso la Nottingham University Business School China, e direttore del Global Policy Institute China - Non mi aspetto che la Cina intervenga nel salvataggio se dovessero fallire i negoziati europei, perché la Cina non ha alcun interesse ad andare incontro a un creditore morente".

Parole dure, che trovano eco nelle frasi degli investitori cinesi più interessati a entrare sul mercato greco. Nelle parole di Yan Jiehe, imprenditore cinese dell'immobiliare noto per il suo atteggiamento irriverente e per essere a capo del China Pacific Contruction Group, la Grecia è come "un mendicante con una ciotola d'oro" che si rifiuta di mettere in atto condizioni vantaggiose per l'attrazione di investimenti e capitali nel Paese. Il problema riguarda le politiche interne di Atene, che potrebbero influenzare il corso futuro degli investimenti cinesi nella "porta d'accesso all'Europa", come lo stesso Li Keqiang, l'estate scorsa, aveva definito la Grecia, durante il viaggio nel Paese.

"La Grecia avrà bisogno di investimenti per la ripresa dell'economia, perché è proprio questo il punto - spiega ancora Geraci - La questione che si dibatte adesso è l'austerity program: l'austerity però ammazza l'economia. La Grecia adesso non ha bisogno di austerità (ed è questo il punto di paralisi) ma di investimenti, che l'Europa non può dare, perché l'Europa non può investire in infrastrutture: non può comprare il Pireo, può solo comprare strumenti finanziari, e non può fare politica fiscale, mentre la Cina può fare "fiscal policy", relativa al budget del governo , investendo direttamente in Grecia". Il risultato di questo scenario potrebbe essere un aiuto alla ripresa di Atene, con implicazioni anche in chiave geo-strategica per Pechino, "nel caso in cui la Cina intendesse fare del Pireo un centro di smistamento per tutto l'export verso il Medio Oriente, collegandolo alla Via della Seta, di cui sarebbe il punto terminale".

La Grecia rappresenta, fin da tempi non sospetti, conclude Geraci, un punto di interesse per Pechino. "Si trova in una posizione strategica tra Oriente e Occidente. E' un Paese semi-sviluppato: non è il Medio Oriente e non è nemmeno l'Europa. E' il punto dove attaccare, sia economicamente che finanziariamente". in più, una Grecia fuori dall'Unione Europea sarebbe libera dai vincoli di Bruxelles, una condizione che rappresenta per Atene una medaglia due facce: "da una parte potrebbe portare a condizioni di lavoro non ottimali, ma dall'altra andrebbe incontro ai bisogni del Paese, che ha bisogno di impiegare il suo 50% di giovani disoccupati anche a condizioni non ottimali, senza le restrizioni comunitarie".


26 giugno 2015

 

 

 

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