GLI USA EVITANO IL DEFAULT, PECHINO CANTA VITTORIA- L.Stanca

GLI USA EVITANO IL DEFAULT, PECHINO CANTA VITTORIA- L.Stanca

Milano, 05 ago. - Un lungo sospiro di sollievo. Anche a Pechino non può essere stata che questa la reazione alla chiusura di un accordo al Congresso su un nuovo limite al debito degli Stati Uniti. In quanto maggiore detentore di titoli di Stato Usa, la Cina sarebbe stata la prima vittima di un default, o comunque di una situazione che avesse messo in seria crisi l'affidabilità di Washington in qualità di debitore.

 

Ma al di là delle reazioni immediate, e dell'evidente costatazione che si è scampato un grandissimo pericolo, resta la sensazione che questo episodio di turbolenza politico-finanziaria sia destinato a lascare il segno non solo nei mercati, ma anche nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti e rapporti di forza tra le due superpotenze.

 

E' evidente come il tira e molla delle ultime settimane abbia comunque arrecato un danno strutturale alla reputazione degli Usa come emittente. Il fatto stesso che per un periodo prolungato gli operatori finanziari abbiano dovuto concretamente valutare la possibilità che in caso di mancato accordo sull'innalzamento del tetto si arrivasse ad un default del governo federale, costituisce un elemento di deterioramento dell'affidabilità creditizia del paese.

 

E non sorprende che a sottolineare questo fatto sia in prima linea la maggiore agenzia di rating cinese, Dagong (questa intervista), che il 3 agosto ha nuovamente ridotto il rating degli Stati Uniti portandolo da A+ a singola A. Un livello enormemente più basso della AAA che, da sempre Standard & Poor e Moody's assegnano a Washington, confermando un atteggiamento sempre ossequioso nei confronti del governo Usa e una credibilità in caduta veticale. Nella intervista rilasciata al Sole 24 Ore il 2 agosto dal presidente dell'agenzia cinese Guan Jianzhong, i concetti sono espressi in tutta la loro cruda evidenza: "questa vicenda ha costituito un test per la capacità di Washington di risolvere una crisi nazionale e questo ha rivelato il grave freno rappresentato dalla politica al sistema economico. In un momento di importanza cruciale per l'interesse del Paese, un meccanismo decisionale si è trovato in difficoltà nell'esprimere una volontà uniforme e questo rappresenta di per sé un fattore di crisi". E ancora: "Questa crisi finanziaria e la seguente crisi del debito sono frutto del fatto che gli Usa hanno violato per troppo tempo i modelli di un'economia basata sul credito. Ora è impossibile uscire dal tunnel con i metodi tradizionali e occorrerà per forza varare una riforma strategica del modello di crescita che deve poggiare su tre elementi principali: Il primo è smettere di finanziare la crescita con i pagherò. Il secondo rivedere la propria strategia globale e tagliare drasticamente le spese militari e il terzo è quello di capire che non si può fare affidamento sulle sole politiche monetarie e fiscali ed è inevitabile abbassare il livello di welfare nazionale".

 

Ora, Dagong è un agenzia privata, e quindi del tutto indipendente dal governo di Pechino. Ciononostante, non si può non leggere nelle dichiarazioni di Guan un messaggio di natura politica: l'era della supremazia americana è giunta al termine, è ora che a Washington se ne rendano conto, prima che sia troppo tardi e che venga messa rischio la stabilita del sistema finanziario internazionale. E infatti il massaggio del presidente di Dagong, riecheggia un refrain che si è andato ascoltando sempre più spesso dai leader di Pechino. Ed ora, il canto di vittoria si farà ancora più forte.

 

La sensazione è di un sistema Cina che agisce sempre sospinto da una chiara percezione della propria posizione di forza, mettendo in mostra una tracotanza che non può lasciare tranquilli. Stiamo pur sempre parlando di un paese dove, mentre scriviamo, vige un diktat governativo alla stampa perché non vengano diffuse notizie "disfattiste" circa l'incidente ferroviario di Wenzhou. Un paese dove le limitazioni alle libertà personali sono innumerevoli. Quando si argomenta, in maniera non irragionevole, che "il meccanismo decisionale" è al cuore della debolezza americana, si intende dire che il modello del partito unico è oggettivamente superiore nel perseguire gli interessi di un popolo. E' un attacco diretto al modello delle democrazie occidentali, volto anche gestire il fronte del dissenso interno, per ora poco percettibile e probabilmente inconsistente, ma da tenere comunque sotto controllo.

E' un confronto, questo, che non può vederci indifferenti.


di Lorenzo Stanca

 

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