GENERAZIONE D' impresa
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GENERAZIONE D' impresa

GENERAZIONE D' impresa

ECOSISTEMI LOCALI DI IDEE INNOVATIVE
di lettura
Cos'hanno in comune Cina, Singapore, Taiwan, Russia, India, Cile, Israele, Armenia, Rwanda, Irlanda, Colombia, Palestina, Kazakistan, Polonia, Arabia Saudita e Messico? Non molto, eccetto che tutti questi Paesi stanno attuando politiche governative volte a stimolare imprenditorialità e venture capital. La cosiddetta scienza della "capital formation", quella che va alle radici del l'economia e dello sviluppo: la generazione di nuova impresa.
«Il mio sogno è che tra dieci anni, quello di oggi sarà ricordato come il giorno di nascita dell'industria software palestinese. Da oggi possiamo sviluppare l'enorme potenziale dei nostri giovani imprenditori», racconta Saed Nashef, venture capitalist, fondatore di Middle East Venture Fund, fondo da 50 milioni di dollari che investe in startup tecnologiche in Palestina, appena inaugurato a Ramallah. Tra i suoi investitori Google, Soros e l'European Investment Fund. Le forme di economia praticabili a Ramallah sono molto poche, ma tra queste sicuramente c'è il business digitale. Qualcosa che può dare lavoro a migliaia tra i giovani sfornati dalle 13 università locali. In tutto il mondo, gli studi economici collegano l'imprenditorialità (specie quella a «forte crescita»), alla creazione di posti di lavoro, incremento del Pil e alla capacità di aumentare la competitività di lungo termine di una nazione. Ma cosa succederebbe se da Ramallah nascesse una nuova Facebook?
L'idea della formazione del capitale, risale agli studi di Simon Kuznets, professore di Warthon negli anni 30. Fu adottata successivamente una misurazione standard e Kuznets, nel '71, vinse il Nobel per l'Economia, «per la sua interpretazione empiricamente fondata della crescita economica, che ha portato una nuova e profonda capacità nella comprensione di struttura economica e sociale del processo di sviluppo». Ma non esistono ricette preconfezionate per propagare una diffusa cultura imprenditoriale o generare distretti di innovazione come hanno fatto Israele, la Silicon Valley, l'India o la Scandinavia. Diversi governi in tutto il mondo si sono dedicati a queste tematiche, fallendo clamorosamente. Ma chi ci è riuscito ha riscosso successi eclatanti.
«Lavoriamo con diversi governi e la Banca mondiale per strutturare fondi di venture capital, oltre alla nostra normale attività di investimento diretto». Victor Hwang è direttore generale di T2 Venture capital, società che assiste i governi: «Aiutiamo le istituzioni pubbliche a strutturare un'ampia gamma di strumenti, perché l'innovazione richiede diverse necessità di capitali. In questo momento stiamo lavorando su un'iniziativa di seed capital per il Governo palestinese, precedentemente abbiamo aiutato Taiwan a strutturare un fondo di venture capital volto alla commercializzazione delle tecnologie di un prestigioso istituto di ricerca. Il prossimo incarico sarà come advisor del Kazhakistan per il test operativo volto a lanciare un fondo di trasferimento tecnologico. Nella capital formation l'azione del governo è fondamentale. Molti hanno provato a copiare il modello della Silicon Valley, ma sono pochi i casi di successo. Per questo ogni singolo aspetto delle politiche pubbliche è rilevante per ottenere risultati concreti».
Victor, laurea ad Harvard, prima di T2 ha cofondato e gestito moltissime startup, ha fatto da mentore a oltre 300 team imprenditoriali e ha strutturato diverse operazioni di venture capital tecnologico. Si è occupato per anni di politiche di innovazione, startup e venture capital nell'ambito dell'Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, la National Science Foundation, il dipartimento dell'Energia, l'Istituto nazionale di sanità e lo Stato della California. Per anni ha presieduto il Larta Institute, specializzato nella commercializzazione della tecnologia di diverse agenzie federali e università. «Comprendo come far interagire il venture capital con le politiche pubbliche – sostiene Hwang –. Il venture capital infatti è stato costruito sulla base di significativi investimenti pubblici in ricerca e commercializzazione, il tutto all'interno di un quadro che consentisse la formazione del capitale di rischio. Abbiamo competenze molto speciali, che combinano l'esperienza operativa con le startup, con il fatto di aver lavorato per decine di clienti governativi».
La Silicon Valley, Israele, Singapore, Finlandia e Francia sono spesso citati come esempi di successo. È possibile individuare altri punti di riferimento a Taiwan, in Rwanda, ad Austin (Texas) e in pochi altri casi. Ma è stato finora impossibile estrapolare grandi conclusioni su cosa funziona e cosa no in questo settore. Molte regioni hanno provato a copiare questi modelli fallendo clamorosamente. «Il principale errore dei governi nel creare venture capital – prosegue Hwang – è che tipicamente si focalizzavano unicamente sul capitale, con lo scopo di massimizzare la performance finanziaria dei fondi che creano. Tuttavia avendo esaminato il Dna culturale della Silicon Valley è emerso qualcosa di sorprendente ai più, ma che non stupisce i veterani dell'industria tecnologica locale».
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«Il venture capital funziona nel lungo termine solo se si focalizza sulla creazione di relazioni e di un ecosistema umano e di volontà. Nessuno ha detto queste verità ai governi e nessuno finora ha disegnato fondi volti allo sviluppo delle capacità e competenze degli imprenditori, dei fund manager e dei professionisti che servono per generare ecosistemi innovativi di successo», spiega Victor Hwang. I governi hanno capito che l'imprenditorialità può trasformare le economie. Tuttavia raggiungere l'obiettivo è difficile non solo perché tutto questo è relativamente nuovo, ma soprattutto perché non esistono ricette e manuali applicabili tout-court a qualunque situazione».
Ma quanto possono essere veramente comparate l'Italia e la Silicon Valley? «Capire questa specificità e fare leva su di essa è l'unico vero punto comune che finora abbiamo potuto constatare in modo ricorrente. Quando abbiamo lavorato per definire e lanciare un fondo nazionale di venture capital armeno, abbiamo fatto scelte radicali. È stato disegnato per costruire competitività di lungo termine attraverso la formazione di venture capitalist, un network per collegare la diaspora armena nel mondo, il supporto ai fund manager per raccogliere fondi successivi e la creazione di truppe di mentor e advisor in grado di assistere i gestori dei fondi e gli imprenditori. Le politiche che hanno successo sono quelle che hanno capito nel profondo i punti di forza e debolezza del proprio ecosistema, riescono a intervenire per potenziare le aree di opportunità e abbattere le barriere che frenano imprenditorialità e dinamismo economico».
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21/04/2011
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