Pechino, 30 set.- Ancora un botta e risposta tra i due lati dell'Atlantico, mentre la contrapposizione Washington-Pechino sulla rivalutazione dello yuan si fa sempre più marcata: "Ci opponiamo risolutamente alla bozza di legge USA, che può gravemente compromettere le relazioni bilaterali - ha detto la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu - e chiediamo ai membri del Congresso americano di valutare appieno l'importanza dei rapporti commerciali ed economici tra Cina e Stati Uniti e di porre un freno al protezionismo, che può solamente colpire gli interessi dei cittadini dei due paesi e del resto del mondo". Jiang Yu, tuttavia, non ha menzionato esplicitamente alcuna forma di ritorsione, e ha definito "ipotetico" un eventuale ricorso alla WTO.
"La proposta americana definire il tasso di cambio di una valuta un sussidio di stato è in aperta violazione dei regolamenti della World Trade Organization - ha detto il portavoce del ministero del Commercio Yao Jian - e neghiamo decisamente che la Cina abbia ottenuto vantaggi commerciali da uno yuan sottostimato. Il surplus commerciale della Cina verso gli Stati Uniti non deve essere attribuito al tasso di cambio dello yuan, né può essere utilizzato come una scusa per attuare misure protezionistiche. Tuttavia, siamo pronti a studiare insieme agli USA i provvedimenti necessari a riequilibrare la bilancia commerciale tra i due paesi".
La reazione cinese arriva all'indomani dell'approvazione della bozza detta "Currency Reform for Fair Trade Act", che alla Camera dei Rappresentanti a Washington ha goduto di un sostegno bipartisan, passando con 348 voti favorevoli e 79 contrari: si tratta di una norma che permetterebbe al Dipartimento del Commercio americano di trattare le esportazioni da paesi con una valuta "essenzialmente sottostimata" come merci che godono di un aiuto di stato contrario alle regole della concorrenza, consentendo alle società statunitensi di richiedere l'applicazione di dazi e tariffe punitive per contrastare la concorrenza sleale. Dopo tante minacce sullo yuan, insomma, ieri il Congresso americano è passato per la prima volta alle vie di fatto, sotto pressione per un tasso di disoccupazione che negli USA non accenna a diminuire e mentre sugli assetti politici interni incombono le elezioni di medio termine del novembre prossimo.
Ma per diventare legge la bozza dovrà ancora passare allo scrutinio di un Senato dagli equilibri profondamente mutati dopo le consultazioni elettorali, ed essere poi controfirmata dal presidente Barack Obama, che – pur avendo espresso posizioni dure sulla rivalutazione della moneta cinese - non ha garantito alcun appoggio ufficiale alla proposta. L'amministrazione USA, infatti, sembra attestata su posizioni più concilianti: due settimane fa il Segretario del Tesoro Timothy Geithner aveva riferito che l'America eserciterà ulteriori pressioni sulla Cina insieme ad altri paesi in occasione del prossimo G20, previsto a Seul il 10 e l'11 novembre. La Banca centrale di Pechino, intanto, ha reagito alla pronuncia del Congresso USA fissando oggi il punto medio di cambio con il dollaro ad un livello inferiore rispetto a quello stabilito ieri, quando People's Bank of China aveva manifestato l'intenzione di aumentare ulteriormente la flessibilità della moneta e perfezionare il tasso di cambio grazie all'ancoraggio a un paniere di valute estere meglio definito.
Lo yuan-renminbi è una divisa non convertibile e il braccio di ferro sulla sua rivalutazione dura da mesi e mesi: il 19 giugno scorso la Banca centrale di Pechino aveva sospeso un ancoraggio di fatto al dollaro che durava dal luglio 2008, consentendo un lieve apprezzamento che tuttavia non ha soddisfatto molti partner commerciali, Stati Uniti in testa. Questi ultimi, infatti, accusano Pechino di mantenere la moneta artificialmente al di sotto del valore reale, una manovra che garantirebbe alla Cina un vantaggio sleale negli scambi con l'estero; ma mentre secondo fonti ufficiose del Fondo Monetario Internazionale lo yuan è sottostimato di circa un 5% -10% rispetto al suo valore effettivo, i parlamentari USA promotori della bozza di legge ritengono che la percentuale si aggiri tra il 25% e il 40%. Nella sua risposta di oggi Yao Jian ha ripetuto le posizioni ufficiali cinesi: "Il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con la Cina è causato dalla struttura delle relazioni commerciali tra i due paesi - ha detto ancora il portavoce del ministero del Commercio - e per questo l'America dovrebbe sospendere il bando sull'esportazione di prodotti hi-tech verso la Cina e espandere le categorie di merci esportabili". "Un apprezzamento tra il 20% e il 40% del renminbi condurrebbe alla bancarotta innumerevoli aziende cinesi - aveva detto la scorsa settimana a New York il premier Wen Jiabao - causando enorme disoccupazione e forte instabilità sociale".
La norma USA potrebbe non godere di tutto l'appoggio necessario al Senato, mentre alcuni parlamentari americani manifestano il loro timore sui rischi di una possibile guerra commerciale. Ma senza scomodare i furori complottisti de "La Guerra delle Valute" – il bestseller di Song Hongbing ascrivibile al genere del "nazionalismo economico cinese", che tanto successo ha avuto tra l'establishment del Dragone -, forse in questi giorni nelle orecchie di molti funzionari di Pechino risuona il monito lanciato la scorsa settimana dal ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega: "Siamo in mezzo a una guerra internazionale sui cambi - aveva detto Mantega al Financial Times - svalutare artificialmente le valute è diventata ormai una strategia globale".
di Antonio Talia
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