AgiChina24 pubblica un dossier sull'omessualità in Cina a cura di Dario Fiorucci.
Roma, giu. 2010 – Il cielo, in Cina come altrove, sembrerebbe proprio non dividersi più in due sole metà. Anche nella "Terra di Mezzo" è arrivato il momento di fare i conti con realtà che non riguardano più solo il rapporto uomo-donna. In una società fondata sull'ordine, è però cosa naturale che una qualsiasi sottile devianza venga considerata con sospetto. "Se per voi occidentali è importante la libertà, per noi cinesi, al contrario, ciò che conta è l'armonia": questa è la frase che vi potrebbe capitare di leggere in blog o post su internet. In genere, la tendenza a evitare la questione, oggetto non solo d'indifferenza da parte delle istituzioni ma anche d'ignoranza da parte della popolazione, sembrerebbe perciò ancora diffusa. Talvolta accade però che il porsi del problema sia inevitabile.
In questi casi l'armonia riceve un colpo profondo e il dibattito attorno all'omosessualità si riaccende. E' recente la notizia del clamore suscitato da Liu Zhu, ragazzino 19enne del Sichuan. che ha riscosso enorme successo esibendosi nel corso del programma "Super Boy, Happy Boy" vestendosi da donna. Liu sembra sentirsi a suo agio solo indossando panni femminili. Molti sembrano aver apprezzato il coraggio con cui Liu ha dichiarato apertamente la propria omosessualità (coming out direbbero gli americani; l'espressione "fare outing" è scorretta, "dichiararsi" proviene infatti dall'americano gergale come out of the closet, letteralmente "venire fuori dall'armadio"). Ma altri, come una dei giudici del concorso, hanno sollevato proteste e mostrato la propria indignazione per quello che ritengono essere un pericolo per il paese e l'ordine sociale.
Ma perché tutto questo caos? Proprio per quell'armonia tanto ricercata, l'omosessualità in Cina è ancora un tabù: nonostante negli ultimi anni le cose abbiano cominciato a cambiare, il lavoro da fare è ancora tanto. Molti i traguardi raggiunti: l'omosessualità non è più reato in Cina dal 1997 ed è stata cancellata dall'elenco delle malattie mentali dell'Associazione Psichiatrica Cinese nel 2001; sono nate molte organizzazioni LGBT (lesbian, gay, bisexual, transsexual) cinesi attive soprattutto nei grandi centri culturali come Pechino, festival cinematografici e manifestazioni a tematica omosessuale; è stato attivato il primo corso di "studi gay" all'Università Fudan a Shanghai e il primo Pride si è svolto sempre a Shanghai nel 2009. I tongzhi (letteralmente "compagno") e le lala (il termine cinese per lesbica, d'origine taiwanese) continuano però ad avere vita dura. Come dimenticarsi, ad esempio, la soppressione lo scorso anno del concorso "Mr. Gay China", che avrebbe dovuto svolgersi a Pechino? La gara di bellezza per giovani gay, che avrebbe dovuto aver luogo in un famoso locale alla moda della capitale, il Lan Club, è stata bloccato dalla polizia sulla base della mancanza dei necessari permessi.
Non c'è solo lo stato che interviene per motivi di "ordine pubblico". Anche le pressioni sociali e familiari sono molto forti: "La maggioranza dei cinesi," sostiene Zhang Beichuan, un funzionario della sanità pubblica che si occupa dei problemi dei gay , "vede l'omosessualità come una cosa disgustosa e contraria alla morale e all'etica cinesi e le autorità preferiscono di solito mantenere il silenzio sull'argomento, come sulla prostituzione e la diffusione della droga". Non avere un erede, inoltre, è considerato un disonore. Bisogna a tutti i costi perpetuare la stirpe. I genitori in particolar modo spingono i giovani maschi a prendere moglie al più presto.
Eppure, chi conosce bene la storia della Cina sa che, in passato, l'omosessualità non era così demonizzata: molti imperatori avevano "concubini"; le stesse dottrine filosofiche che sembrano dare man forte ai detrattori dell'omosessualità in realtà non attaccavano coloro che prediligevano amanti del proprio sesso. Il confucianesimo non include l'omosessualità nella lista delle pratiche proibite, nonostante l'enfasi sui doveri matrimoniali e "procreativi": l'importante era che alla fine gli individui mettessero al mondo dei figli. Anche il taoismo sosteneva che, essendo negli uomini presente una parte di yin, oltre allo yang, un certo comportamento femminile poteva essere naturale anche negli uomini. Per questo, molti studiosi come Walter Williams, professore presso l'Università della California Meridionale e studioso di sessualità e identità sessuale in Asia dal 1983, sostengono che l'omofobia sia stata introdotta dagli europei, arrivati in Cina per diffondere la loro religione cristiana. "Molte persone pensano che l'omosessualità sia un prodotto d'importazione europea, ma in realtà è stata l'omofobia ad essere importata dall'Europa", sostiene Williams.
Nonostante i molti tabù, fenomeni come il successo di Liu Zhu sottolineano che il clima in Cina sta cambiando, seppur lentamente, e che molti cinesi, se non "favorevoli" all'omosessualità, sono almeno indifferenti alle preferenze sessuali dei proprio concittadini. Inoltre, anche se lo stato spesso sembra voler mantenere il silenzio sull'argomento, qualche volta l'indifferenza viene meno, e diventa visibile una maggiore attenzione del tutto recente. Poco tempo fa è stata approvata una mozione per la quale i conducenti di mezzi pubblici dovranno rivolgersi ai passeggeri con l'appellativo di "signore", piuttosto che "compagno" (tongzhi appunto), per evitare fraintendimenti e incomprensioni dato che questo ultimo termine è oramai comunemente usato, soprattutto dai più giovani, come sinonimo di omosessuale.
E' plausibile che la presa di coscienza del problema da parte delle autorità diventi col tempo sempre più forte, visto che comunque l'oscurità in cui vivono milioni di omosessuali cinesi genera altri problemi a livello sociale. Liu Dalin, pioniere della sessuologia in Cina, stima infatti che circa il 90% degli uomini omosessuali decida di sposarsi a causa delle pressioni sociali. Le donne legate a questi uomini da un vincolo puramente legale, privo di qualsiasi "apprezzamento" affettivo o sessuale, sono così intrappolate in matrimoni senza amore e il fenomeno ha assunto proporzioni tali che è stato coniato un termine apposito per indicare le sfortunate: tongqi (dall'unione di tongzhi e qizi, che significa "moglie" in cinese). La causa di questi matrimoni sarebbe appunto la vergogna che la famiglia proverebbe in mancanza di eredi. Tali unioni sono estremamente negative per una donna e la sua autostima, che verrebbe fortemente intaccata dalla presenza di un marito che non osa guardarla negli occhi o non desidera avvicinarsi a lei né tantomeno toccarla. Tutto ciò origina frustrazione e rabbia, ed ecco quindi la nascita di un'associazione di supporto morale per le tongqi, chiamata Pink Space, fondata da He Xiaopei. Il gruppo offre solo un servizio di sostegno, e non consigli pratici, ma le signore che partecipano alle sedute sembrano provare un gran sollievo dovuto alla scoperta di non essere le uniche imprigionate in matrimoni con uomini che non le desiderano. Solo una piccola parte di loro, però, decide di divorziare, mentre molte proseguono con le loro tragiche unioni, senza che la colpa ricada sui mariti, che come loro cercano di sopravvivere in un sistema che li vuole sposati e con prole.
Per alcuni, come il già citato Williams, il motivo per cui il governo cinese sta lentamente prendendo in considerazione la questione omosessuale risiede nel fatto che "gay e lesbiche si accordano piuttosto bene con i programmi di controllo demografico in Cina." "Perché punire gente che non si riproduce quando la loro naturale inclinazione è proprio quella di restare "improduttivi"?" sostiene Williams, "Sono dei cittadini modello per quanto riguarda la politica sulla popolazione."
La questione omosessuale in Cina presenta quindi una certa ambivalenza: spesso si è restii ad affrontare il problema sotto la spinta di forze sociali ancora piuttosto "potenti", ma altrettanto spesso la questione comincia a porsi con sempre maggiore insistenza. E se il matrimonio gay in Cina sembra ancora lontano (sono stati molteplici i tentavi di Li Yinhe, sociologo e sessuologo conosciuto nella comunità omosessuale cinese, che ha presentato proposte di legalizzazioni dei matrimoni gay svariate volte e senza successo: nel 2000, 2004, 2006 e 2007, all'Assemblea Nazionale del Popolo), anche in occidente i passi da fare in questo senso non sono pochi.
di Dario Fiorucci
© Riproduzione riservata