Pechino, 21 lug.- Apprezzamento per gli sviluppi del sistema finanziario, ma anche preoccupazioni per il mercato immobiliare e critiche al tasso di apprezzamento dello yuan: queste le conclusioni del Fondo Monetario Internazionale sulla situazione della Cina, contenute nella nuova edizione del tradizionale rapporto annuale pubblicato oggi.
Il dossier è il frutto della visita di uno staff di esperti FMI, che si sono trattenuti in Cina dal 23 maggio al 9 giugno scorso, incontrando alti funzionari cinesi tra cui anche il vicepremier Wang Qishan, il ministro delle Finanze Xie Xiuren e il governatore della Banca Centrale Zhou Xiaochuan.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, i principali rischi che la Cina deve fronteggiare sul fronte interno sono rappresentati dall'inflazione galoppante (questo dossier) e da una bolla speculativa nei prezzi del settore immobiliare, così come da un deterioramento della qualità dei crediti detenuti dalle banche, provocato dall'enorme aumento dei nuovi prestiti erogati per contrastare la crisi globale.
L'FMI, inoltre, torna alla carica sulla questione dell'apprezzamento dello yuan, argomento sul quale non manca mai di criticare Pechino: uno yuan più forte, si legge nel rapporto, costituisce "un fattore chiave per accelerare la trasformazione del modello cinese di crescita economica". I funzionari del Fondo ritengono che la valuta cinese sia sottostimata rispetto al suo reale valore "tra il 3% e il 23%, a seconda di quale metodo di misura viene impiegato", e sostengono che "i controlli sul tasso di cambio stanno rallentando le riforme che potrebbero rendere il sistema finanziario cinese più flessibile ed efficiente".
Il problema del tasso di cambio della divisa cinese rappresenta da tempo uno dei punti di frizione più frequenti tra Pechino, Washington e - in misura minore - Bruxelles: gli Stati Uniti, in particolare, sostengono che uno yuan scambiato a un valore inferiore a quello reale conceda alla Cina un vantaggio sleale negli scambi commerciali con l'estero. Ad aprile il Fondo aveva già citato il controllo esercitato dal Dragone sulla sua valuta come uno dei fattori che potrebbero ostacolare la ripresa economica globale, conclusione alla quale –nello stilare il rapporto diffuso oggi- si è opposto lo stesso rappresentante cinese nel board dell'FMI He Jianxiong, che in una relazione di minoranza acclusa al dossier ha affermato invece che dal 2005 lo yuan si è apprezzato del 21% in termini reali, e che gli oltre 3mila miliardi di dollari accumulati da Pechino in riserve di valuta estera sono da attribuire soprattutto ai bassi tassi d'interesse registrati in Europa e negli Stati Uniti, che avrebbero dirottato ingenti capitali verso le economie emergenti.
Il Fondo prevede che il Dragone chiuderà l'anno con una crescita economica del 9.6%, e apprezza gli sforzi profusi dalla Cina per riformare il settore finanziario e i progressi nell'introdurre un sistema sanitario efficace e nuovi progetti per l'edilizia popolare.
"La riforma del tasso di cambio dello yuan rappresenta l'integrazione di un pacchetto di riforme già avviate per rendere il sistema finanziario cinese più orientato al mercato e maggiormente integrato al sistema globale" ha dichiarato Nigel Chalk, il senior adviser del dipartimento Asia-Pacifico del Fondo, a capo della squadra che ha elaborato il rapporto.
Sul fronte dell'inflazione - che a giugno è cresciuta del 6.4%, ai livelli più alti degli ultimi tre anni -, Chalk ha infine affermato che si intravede un trend discendente, che prenderà piede dalla fine dell'anno.
di Antonio Talia
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