FALLACIA NEOLIBERALE E PREVISIONI SBALLATE SULLA CINA

FALLACIA NEOLIBERALE  E PREVISIONI SBALLATE SULLA CINA

Roma, 11 gen. - E' ormai noto che le logiche e i meccanismi della finanziarizzazione contemporanea sono riconducibili alla svolta monetarista (neoliberale), che dagli anni Settanta dello scorso secolo ha promosso la riduzione (elevazione?) del politico agli interessi dei capitali finanziari. Un fenomeno che chiamerei di "economicizzazione finanziaria del politico", tanto artificioso e artificiale quanto più diviene "anti-sociale".

 

L'economia, infatti, che si definisce nei rapporti sociali, è stata svuotata di significato perché de-socializzata, privata cioè della sua stessa essenza costitutiva. Da qui la distorsione rinvenibile nella surreale distinzione tra economia "reale" e "finanziaria", dove quest'ultima è sinonimo di economia "finta/irreale", sempre più in grado di informare/plasmare le attività di produzione a prescindere dalle esigenze sociali, di coesione e giustizia. Devota com'è all'accumulazione costante e senza fine di capitale, essa tramuta il mezzo finanziario in fine esiziale dell'economia.

 

Più di trent'anni di politiche capitalistiche "neoliberali", applicate con forza ai paesi periferici del sistema-mondo a guida Usa, hanno generato crisi debitorie e finanziarie, guerre, cambi di regime e nuove dipendenze. Oggi il boomerang torna a casa, in quei paesi del centro del sistema che assistono un po' attoniti all'esplosione domestica delle contraddizioni proprie della cultura politica "neoliberale". E se è vero che la nostra coscienza collettiva sembra aver compreso, almeno in parte, come mai si sia giunti nel bel mezzo di una crisi più grave di quella degli anni Trenta, ciò che continua a essere male interpretato, oppure nella peggiore delle ipotesi completamente incompreso, riguarda la nuova natura dei rapporti tra l'Occidente e il resto del mondo, soprattutto tra noi e quello che viene definito il "mondo emergente" (già emerso?). Penso soprattutto alla Cina, su cui si continuano a fare previsioni sballate derivanti da un mix di autoreferenzialità e carenze conoscitive profonde.

 

Non cogliendo pienamente i mutamenti in atto su scala mondiale e regionale, molti osservatori hanno troppo spesso dato per scontato che una grave crisi statunitense avrebbe determinato effetti disastrosi in tutto il mondo. Questo continua a essere vero soprattutto per l'Europa - l'attuale crisi è un chiaro "contagio" americano - ma non per la Cina e alcuni suoi partner. L'attuale sistema mondiale è oggi un po' meno dipendente dall'Occidente: negli ultimi anni, ad esempio, i crediti erogati da Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e Banca Mondiale (Bm) risultano essere meno appetibili – a causa degli effetti nefasti dei "piani di aggiustamento strutturale/di austerità" - a vantaggio di creditori più attraenti e quasi per nulla indebitati. La Cina, nello specifico, ha aumentato in modo consistente il flusso di prestiti verso i paesi "in via di sviluppo" (superando la Bm) e quelli di "vecchia industrializzazione" (Pechino è il primo creditore degli Usa, 25%, e dell'Eurozona, 30%).

 

Alcuni analisti sostengono poi che la crescita cinese potrebbe contrarsi bruscamente nel giro di pochi anni, dal 10 al 3 per cento, in ragione della crisi occidentale e della relativa caduta dei consumi. E' tuttavia utile far notare che la dipendenza del pil cinese dall'export sta diminuendo costantemente (in pochi anni si è passati dal 40 al 20 per cento) senza che i ritmi di crescita siano stati intaccati in modo significativo. Anzi, si può ragionevolmente prevedere una continuità dello sviluppo cinese, anche con un Occidente in stagnazione. Innanzitutto perché molto è stato fatto e si continua a fare per ampliare e consolidare i mercati interni, i cui margini di espansione, in termini di produzione e consumo, sono enormi: se sommassimo la popolazione dell'America Settentrionale, Meridionale e dell'Europa Occidentale non raggiungeremmo la popolazione della Cina. E poi perché le strategie di investimento e i piani di sviluppo di Pechino stanno generando risultati non solo all'interno dei confini nazionali, ma anche in molte altre regioni del mondo.

 

Pur presentando contraddizioni interne e sacche di sfruttamento intollerabili - considerazione che si può facilmente estendere anche alle nostre realtà - la Repubblica Popolare Cinese sta incentivando con successo produzioni tecnologicamente avanzate (si pensi ad esempio alla fornitura di treni ad alta velocità al Regno Unito), investimenti nella green economy (di cui è già leader mondiale) e interconnessione territoriale (infrastrutture domestiche e transfrontaliere). Senza tralasciare nel contempo l'ideazione e la realizzazione di nuovi progetti di sicurezza sociale ("l'indice di sviluppo umano" cinese si sta progressivamente avvicinando ai valori più alti al livello mondiale). Il tutto in un contesto in cui non si registrano realtà paragonabili alle baraccopoli brasiliane o sudafricane, e dove i livelli di disuguaglianza socioeconomica non sono poi così distanti da quelli dei cosiddetti "paesi sviluppati" (secondo uno studio di qualche anno essi sarebbero addirittura inferiori). 

 

Credo sia importante acquisire coscienza di ciò, di come siano già cambiati i rapporti di forza internazionali, per immaginare un nostro efficace processo di adattamento e per elaborare proposte politico-economiche credibili in Europa e nel mondo. Che non dovrebbero perseguire le solite campagne militari all'estero e l'aumento del tasso di repressione poliziesca all'interno dei confini nazionali, ma puntare altresì su quegli investimenti per la società civile funzionali allo sviluppo dell'economia "reale". A tale scopo sarebbe urgente recuperare una concezione sociale della "economia", rimuovendo definitivamente l'ideologia del mercato autoregolato, per avviare un vero processo di de-finanziarizzazione culturale e delle menti, ancor prima che materiale. Riprendere la lettura de La Grande Trasformazione di Karl Polanyi del 1944 potrebbe essere d'aiuto, insieme ad altri scienziati critici dell'economia politica.

 

di Fabio Massimo Parenti

Esperto di Geopolitica e autore del "Mutamento del sitema mondo"

 

* Per fonti scientifiche, documenti ufficiali e altro materiale di riferimento rimando a due scritti recenti: "Quello che l'America deve imparare dalla Cina", in Limes, 6/2011, pp. 257-268 e Mutamento del sistema-mondo. Per una geografia dell'ascesa cinese, Aracne, Roma 2010. 


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