di Sonia Montrella
Pechino, 31 gen.- In manette il gotha delle compagnie chimiche responsabili dell'emergenza cadmio nel fiume Longjiang, affluente del Fiume delle Perle, nel Guangxi. La scorsa notte sette dirigenti sono stati trattenuti dalle autorità della regione autonoma con l'accusa di aver scaricato illegalmente rifiuti industriali provocando un disastro ambientale. Lo ha reso noto nel corso di una conferenza stampa, Feng Zhennian, uno dei funzionari per la protezione ambientale della regione, che si è però rifiutato di fare i nomi degli arrestati. Oltre al già noto impianto minerario Guangxi Jinhe Mining Co, nella lista delle società incriminate si aggiunge la Jinchengjiang Hongquan Lithophone Material nella città di Hechi.
La presenza di cadmio nelle acque del fiume Longjiang sarebbe stata rilevata lo scorso 15 gennaio in seguito a una improvvisa morìa di pesci. I risultati dei test effettuati dagli esperti si rivelarono a dir poco allarmanti: le analisi delle acque evidenziarono un livello di cadmio di 80 volte superiore ai limiti consentiti. Per neutralizzare gli agenti inquinanti, le forze della polizia e i vigili del fuoco hanno aperto le dighe e immesso in diversi punti del letto del fiume tonnellate di cloruro di ammonio e di idrossido di sodio. Tra i prodotti cardine dell'industria chimica, presente nelle batterie, vernici e pannelli solari, il cadmio è una sostanza altamente cancerogena che provoca danni all'apparato scheletrico, fegato e al sistema respiratorio.
E se nell'area della riserva del Lalang – sostengono le autorità – la situazione sembra essersi normalizzata, in prossimità della stazione idroelettrica di Luodong il livello di contaminazione è ancora di 25 volte superiore alla soglia limite. Analisi condotte lunedì mattine nelle acque comprese in un raggio di 16 chilometri dalla città di Liuzhou hanno invece evidenziato livelli appena al di sotto del limite. Per Pechino, dunque, il cessato allarme nelle acque del Longjiang è ancora molto lontano.
Mentre le autorità prevedono un picco di contaminazione in dieci, quindici giorni, il governo di Liuzhou fa sapere di essere in grado di garantire agli abitanti acqua potabile. Secondo funzionari del governo della città da lunedì l'acqua nella zona del Longjiang sarebbe pronta per essere bevuta. Ma i cittadini di Liuzhou mostrano scetticismo: "Il governo della città ci ha inviato messaggi di testo sul cellulare per tenerci aggiornati aggiornati sul livello di contaminazione da cadmio, ma io non so a cosa corrispondano quei numeri" ha spiegato Zhang Ying, proprietario di un supermercato della città. Liao Ming, proprietario di una caffetteria, ha detto che userà l'acqua del rubinetto solo per fare il bagno, mentre per uso alimentare continuerà a comprare quella in bottiglia. E come lui hanno fatto già i tre milioni e mezzo di abitanti di Liuzhou che la scorsa settimana hanno svuotato gli scaffali dei supermercati. Nonostante la corsa all'acqua in bottiglia, "i prezzi resteranno stabili e le scorte saranno assicurate" hanno riferito le autorità.
Intanto, per gli esperti, il disastro ambientale del fiume Longjiang non ha fatto altro che riaccendere i riflettori su quelli che sono i punti deboli della lotta all'inquinamento condotta da Pechino. Sebbene negli ultimi anni il governo abbia investito oltre 3 miliardi di dollari per migliorare la qualità delle acque cinesi, secondo le stime ufficiali sono ancora oltre 300 milioni coloro che non hanno accesso all'acqua potabile. Lo stesso ministero per la Protezione Ambientale ha ammesso il problema dell'inquinamento coinvolge la metà dei fiumi e dei laghi della Cina. E per via delle numerose fabbriche di batterie, in testa ai fattori inquinanti figura proprio il cadmio che oltre alle acque contamina anche i raccolti. Lo scorso anno, uno studio condotto dall'Università dell'Agricoltura di Nanchino ha evidenziato che il 10% dei raccolti di riso della nazione contenevano eccessivi livelli di cadmio, mentre in alcuni campioni di riso provenienti da sei province meridionali gli scienziati hanno rilevato alte percentuali di metalli pesanti.
Controlli più serrati, rispetto delle norme esistenti, ma soprattutto maggiore trasparenza: queste le principali richieste di coloro che in Cina si battono per la tutela ambientale. "Solo quando i pesci sono venuti a galla il governo ha ammesso pubblicamente il problema" ha sottolineato Ma Jun, direttore dell'Istituto di Affari ambientali di Pechino, che non ha dubbi sul fatto che le autorità avrebbero occultato la vicenda se solo avessero potuto.
Incidenti come quello del Longjiang causati da una produzione senza freni non accadono di rado in Cina: nel 2005, ad esempio, un incidente in uno stabilimento della China National Petroleum Corp. nella provincia del Jilin aveva riversato nel fiume Songhua oltre 100 tonnellate di prodotti tossici, che avevano raggiunto la città di Harbin lasciando quasi 10 milioni di cinesi senza acqua corrente per diversi giorni. E ai cittadini, nella maggior parte dei casi, non restare a guardare: "Se sei cinese non puoi essere esigente" ha detto rassegnato al New York Times Liao Ming spiegando che di recente ha notato che una fabbrica di carta sta inquinando l'aria nel suo quartiere. "Se cammini per strada e inizi a notare cose di questo genere non vivi più".