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C'è chi è pessimista. Alcuni, negli Usa come in Europa, lo sono fin troppo, quasi animati da un sentimento di rivalsa verso questi "usurpatori" di leadership economica quanto politica. Ma c'è anche chi, oltre la tempesta di questi mesi, guarda meno emotivamente alla situazione.
«Perché sarebbe sbagliato cancellare i Bric». Così il Financial Times titolava a inizio gennaio un'analisi di Jim O'Neill, capo delle ricerche economiche globali di Goldman Sachs e inventore sette anni fa di un acronimo di grande successo: i Bric appunto, le economie che oggi valgono il 15% circa del Pil mondiale. In sostanza, è la risposta, nel 2009 l'unica fonte di domanda interna in crescita saranno proprio i giganti emergenti, con un'accelerazione nel 2010: un +7%, corroborato dalle ingenti misure di sostegno cinesi, contro il solo +1,2% delle economie avanzate. Di più, nei prossimi tre anni la crescita della domanda globale sarà trainata ancora una volta dalle quattro economie Bric. E alla fine del decennio il loro peso sul Pil mondiale dovrebbe arrivare al 20%.
Fantaeconomia? Sette anni fa non erano in molti a scommettere sulla "marcia vittoriosa" della banda dei quattro. Oggi può risultare ancor più difficile. Reali però sono il cammino fin qui percorso, i risultati in termini di nuovo benessere raggiunti almeno da una parte dei miliardi di persone che popolano i Bric, come anche l'interconnessione promossa dalla globalizzazione. Ecco perché non si possono "cancellare" i nuovi protagonisti. E perché è anzi venuta l'ora di dare loro de jure uno status di decision maker internazionale. De facto l'anno già conquistato. La prima mossa alla nuova amministrazione Usa, come spieghiamo in questa pagina.
sara.cristaldi@ilsole24ore.com
27/01/2009
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