Ecfr: futuro riforme si gioca su rivalità tra gruppi

di Eugenio Buzzetti

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Pechino, 18 dic. - Il futuro dell'economia cinese risiede nello scontro tra chi sostiene le riforme di mercato e chi si oppone a qualsiasi cambiamento. E' uno dei risultati dell'ultima analisi a tutto tondo sull'economia cinese pubblicato dallo European Council of Foreign Relations. Il rapporto, "Your investment, our economy", nasce da una serie di domande sul futuro dell'economia cinese. Le riforme volute da Xi Jinping serviranno ad aprire l'economia cinese o la ostacoleranno? La legge anti-monopolio è il frutto di un "nazionalismo economico" che renderà la vita ancora più difficile alle imprese e alle multinazionali straniere che operano in Cina, già colpite da diverse indagini nell'ultimo anno? Quale sarà il futuro della zona di Libero scambio di Shanghai, a oltre un anno dalla nascita? Quali sono gli ostacoli all'internazionalizzazione dello yuan?

 

In diversi casi, le risposte scaturite dalle indagini non sono positive. Nel caso della FTZ di Shanghai, per esempio, la Cina aveva promesso inizialmente di allentare le restrizioni per i gruppi stranieri nell'acquisto di asset locali. "Questo non sta accadendo - sostiene il direttore dell'ECFR, Francois Godement, nell'introduzione al rapporto - Al di là della competizione a livello regionale e di fazioni che spesso si accompagna ai nuovi 'modelli' in Cina, la FTZ sta ora funzionando come un terreno di prova (per essere replicato presto a Tianjin, nel Guangdong e nel Fujian) per sperimentare regole amministrative più leggere con il lancio di alcuni elementi di flessibilità internazionale". La nuova FTZ di Shanghai, in sostanza, "è più un incubatrice di esperimenti di piena economia di mercato per le imprese interne cinesi che un paradiso per i capitali stranieri".

 

Il 2014 è stato l'anno in cui gli investimenti all'estero della Cina si sono bilanciati a quelli stranieri nel Paese. Gli FDI in Cina rivestono ancora un ruolo importante, secondo alcune fonti dello European Council of Foreign Relations, su fattori come il tasso di impiego, il commercio con l'estero e la produzione industriale, mentre per altri, la Cina non ha bisogno di investimenti stranieri nella propria economia. "In base alla portata recente dei progetti di FDI e alla diversificazione delle modalità di ingresso - spiega il rapporto - il regime degli FDI è diventato obsoleto". Il difetto starebbe nel sistema stesso che regola gli investimenti stranieri in Cina fondato su tre leggi fondamentali e su altri duecento tra leggi, regolamentazioni e direttive. "Il regime degli FDI è un sistema ibrido che permette trattamenti preferenziali assieme a misure restrittive sugli investimenti", spiega una fonte, spiegando che il regime degli investimenti per le imprese interne è diverso da quello che regola le imprese straniere.

 

L'attuazione della legge anti-monopoli è stata al centro di diverse critiche per avere avuto nel mirino soprattutto i grandi gruppi stranieri, multati per i tre quarti dell'ammontare delle sanzioni comminate a gruppi che hanno violato le regole anti-monopoli dal 2011, pari a 2,8 miliardi di yuan, 366,8 milioni di euro. "L'effettivo rafforzamento della legge - continua in una nota l'ECFR - è visto in Cina come un elemento chiave nello spostare il Pese verso una moderna economia di mercato, ma gli investitori stranieri temono che possa essere uno strumento di politica economica per espellere le imprese straniere".

 

Secondo le fonti cinesi, alla base dell'applicazione ci sarebbe una competizione tra i ministeri, e soprattutto tra il Ministero del Commercio e la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, ma le vere "tigri" da combattere sono monopoli amministrativi, e in particolare, vengono citati quelli delle telecomunicazioni, dell'energia e della finanza. "In tutti questi tre settori, le posizioni di monopolio delle imprese statali restringono la scelta dei consumatori - spiega lo studio - Queste posizioni di monopolio non sono state raggiunte offrendo prodotti e servizi di qualità superiore, ma sono piuttosto il risultato di regole amministrative che impediscono l'ingesso in quei settori ad altri gruppi".

 

Infine, l'ultima analisi riguarda la liberalizzazione dello yuan, ancora non pienamente convertibile e presente su un numero limitato di piazze offshore. "Il risultato è stato la deregolamentazione di parte del capital flow e la creazione di condizioni speciali per investitori istituzionali qualificati, sotto un sistema che permette ai non-residenti di investire in Cina usando strumenti di debito o di capitali". Prima che lo yuan possa diventare pienamente convertibile, conclude lo studio, "la Cina dovrà fare i conti con i vincoli dei mercati esterni e il bisogno di assicurare una crescita stabile alla propria economia".

 

18 dicembre 2014

 

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