E Pechino teme la fiammata dei prezzi
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E Pechino teme la fiammata dei prezzi

E Pechino teme la fiammata dei prezzi

Cina di mercato. Pressing della Banca del popolo sull'apprezzamento dello yuan
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Il futuro della Cina è nelle mani di una donna. Una delle sue stelle emergenti. Lei è Hu Xiaolian, ha 52 anni, ed è vicegovernatore della Banca del Popolo Cinese, ma è stata anche responsabile dell'Amministrazione statale per i cambi, e di cambio continua a occuparsi. Ha un compito difficile: convincere le autorità del suo paese. Lo yuan, dice, deve diventare un po' più flessibile, e deve quindi apprezzarsi. È il sistema di socialismo di mercato voluto da Jiang Zemin, ora, a richiederlo.
Il tentativo di orientare la classe dirigente cinese è affidato a cinque articoli, pubblicati tra maggio e agosto, sull'attuale "cambio con fluttuazione governata" (managed floating exchange rate) e scritti per preparare gli ulteriori passi. Hu li delinea abbastanza chiaramente. Il cambio, dice, dovrà dipendere da domanda e offerta. Quelle "sane", però: per evitare la speculazione finanziaria e i suoi strappi un riferimento costante saranno i conti con l'estero. Sarà probabilmente l'andamento di questi saldi e soprattutto quello commerciale, spiega Qing Wang di Morgan Stanley che «sarà usato come un importante indicatore del livello della domanda e dell'offerta sottostante». Il punto di aggancio non sarà più, di conseguenza, il solo dollaro, ma sempre di più un paniere di valute e quindi il cambio nominale effettivo: dal 2005 la Banca del Popolo cinese ha adottato, per calcolarlo, un basket di 11 valute senza rivelare i pesi di ciascuna moneta (presumibilmente simile a quello dell'interscambio). «In futuro - ha annunciato Hu - sarà valutata l'opportunità di pubblicare informazioni sul cambio nominale effettivo su base regolare e spostare l'attenzione del pubblico dal renminbi/dollaro al cambio effettivo».
Ci vorrà tempo. Per passare davvero dal dollaro a un paniere di monete - ricordano Glenn Maguire e Wei Yao di Société générale - occorrerà diversificare le riserve valutarie, un tesoro da 2.500 miliardi di dollari. Sarà un lavoro lungo: dietro la riforma del cambio si nasconde quella dell'intera economia cinese. Perché infatti lo yuan deve diventare più flessibile? Perché «il cambio - scrive Hu - rappresenta le relazioni di prezzi tra beni e servizi tradable (aperti alla concorrenza internazionale, ndr) e quelli non-tradable» e apprezzare lo yuan significa spostare risorse dai primi ai secondi. Non inganni l'apparente astrattezza: qui si parla di rivitalizzare quei settori che soddisfano la sola domanda interna, e di ridurre la dipendenza del paese dalla domanda internazionale.
La Cina ha davvero bisogno di questo. Tra qualche anno, - forse solo 5 o 10 - la forza lavoro comincerà a calare, per ragioni demografiche: la politica di riduzione delle nascite, avviata molto tempo fa, sta già creando effetti importanti. Famiglie numerose e allargate, ma con solo uno-due figli, riducono i consumi e aumentano i risparmi, in attesa del momento in cui peseranno in tanti su poche fonti di reddito. Ben presto salari e stipendi, che Hu chiama, allargando la visuale, «prezzi dei fattori», dovranno così aumentare. E questo rende ancora più importante uno yuan più alto, che riduca il costo delle importazioni. In questo modo si «creerà un ambiente di bassa inflazione favorevole alla riforma dei prezzi dei fattori di produzione».
La Cina teme infatti l'aumento dei prezzi, e Hu - un tempo componente del Comitato centrale del Partito comunista - spiega quanto sia dannoso citando uno dei meno "socialisti" tra gli economisti: l'inflazione, «come ha detto Milton Friedman, è una malattia pericolosa che può essere fatale e distruggere l'intera società, se non controllata. In Cina è il gruppo a basso reddito, soprattutto i 40 milioni che vivono nelle città e i quasi 100 milioni di migranti che sarebbero colpiti più duramente dall'inflazione».
Il rischio è davvero forte: impedire allo yuan di apprezzarsi è stato possibile solo creando sempre più liquidità. Questi sforzi «sono diventati la maggior fonte di offerta di moneta», nota Hu e questo «danneggia l'indipendenza della politica monetaria»: il problema della causa più profonda di questa liquidità «non è stato risolto», e per farlo occorre ridurre la presa sul cambio. Altrimenti fenomeni come la recente bolla immobiliare saranno destinati a ripetersi e aggravarsi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

25/08/2010
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