E adesso il Dragone vuole comprarsi Hollywood

E adesso il Dragone  vuole comprarsi Hollywood

Pechino, 23 gen.- Per il governo di Pechino il 2012 è ormai l'anno della battaglia per conquistare l'immaginario mondiale. In un recente articolo il  presidente Hu Jintao è stato esplicito: la Cina non può essere un gigante economico e contemporaneamente un nano culturale. E allora l'Impero di Mezzo punta alle stelle, vuole comprarsi un pezzo della fabbrica dei sogni. Un pezzo di Hollywood.

 

Hollywood (and the) Party


"C'è una precisa indicazione del governo centrale: investire in cultura, esportare la cultura cinese, veicolare nel mondo un messaggio positivo" dice ad AgiChina24 Airaldo Piva, managing director di HG Europe. Un indirizzo che passa anche attraverso la conquista del grande schermo: secondo quanto riferisce il Financial Times, il tycoon cinese Bruno Wu si trova nella Mecca del cinema per tentare la scalata agli studios. Nelle scorse settimane un consorzio formato da Wu insieme alle società cinesi Harvest Global Investment e Pacific Alliance Group  ha proposto a Summit Entertainment (i produttori del blockbuster "Twilight") e Colony Capital (che controlla Miramax, produttore di "Pulp Fiction") una fusione, finalizzata all'acquisizione da parte del gruppo dell'Impero di Mezzo.

 

Ma il risiko cinematografico di Pechino si è concluso in un insuccesso, e alla fine Summit è stata acquisita da Lions Gate Entertainment. "Gli investitori cinesi non erano mai stati così vicini a comprare una casa cinematografica di Hollywood" ha dichiarato al FT una delle persone coinvolte nella trattativa. Il Dragone s'è dato per vinto? Assolutamente no: il consorzio cinese è ancora in trattativa con Miramax, e sempre secondo il quotidiano britannico starebbe puntando a un gruppo di studios ancora più importante di Summit.

 

Il senso di Pechino per il cinema


L'enorme interesse di Pechino verso Hollywood è solo l'ultimo segnale: a dicembre Bank of China ha annunciato un prestito da 3 miliardi di yuan (364 milioni di euro) alla Hengdian, la società che controlla gli enormi studios nella provincia dello Zhejiang, non a caso soprannominati "la Hollywood cinese". I fondi serviranno "ad aiutare le società presenti nel parco cinematografico di Hengdian a muoversi all'estero attraverso fusioni, acquisizioni e collaborazioni con società straniere". 

 

"Il nostro core business è ancora concentrato sulla fornitura degli studios alle produzioni asiatiche -dice Piva, illustrando le politiche della casa madre cinese-  ma in questi ultimi anni abbiamo iniziato effettivamente a lanciare alcune coproduzioni con l'estero, ottenendo buoni risultati. Siamo molto interessati ad investire in progetti con società straniere, e sto verificando personalmente le possibilità con l'Europa e ovviamente con l'Italia. Ma vista la situazione del cinema italiano, purtroppo è molto complesso".

 

Dagli studios della Hengdian è uscita una coproduzione con l'Australia come "33 Postcards", con Guy Pearce (interprete di "L.A. Confidential" e "Memento"), toccante storia di un'orfana cinese e dell'uomo che l'ha adottata a distanza, un australiano in carcere per omicidio. Secondo Piva, le coproduzioni con la Cina possono passare raccontando vicende di questo genere, film legati alla famiglia e ai sentimenti, mentre "produzioni scioccanti o basate sulla volgarità non sono adatte" per la distribuzione oltre la Grande Muraglia.

 

Di sicuro, neanche Hollywood può ormai prescindere dal pubblico dell'Impero di Mezzo Nel 2011 i botteghini cinesi hanno abbattuto i record d'incassi, 13 miliardi di yuan, 1.5 miliardi di euro, oltre il 30% in più rispetto al 2010. Sceneggiatori e soggettisti hollywoodiani ammiccano alle sale cinesi da anni: se il remake di "Karate Kid" è stato girato in Cina –con Jackie Chan a ereditare il ruolo del vecchio Maestro Miyagi-, in molti interpretarono la distribuzione di "2012" di Roland Emmerich come un'astuta manovra di propaganda, con cinesi e americani che sullo schermo collaboravano per salvare il mondo proprio negli stessi giorni in cui Barack Obama incontrava Hu Jintao a Pechino.

 

E nessuno ha dimenticato il milione di dollari che la MGM quasi in bancarotta ha sborsato per correggere al computer "Alba Rossa" (remake del film del 1984) e trasformare gli invasori cinesi all'attacco dell'America in "rassicuranti" nordcoreani, nemico più adatto alla stagione e che di sicuro non spende soldi al cinema.

 

Ma con l'arrivo di Pechino alla Mecca del Cinema bisogna aspettarsi anche condizionamenti diretti su trame e sceneggiature? "Se le società cinesi investono a Hollywood lo fanno soprattutto per ottenere un profitto,–conclude Airaldo Piva- ma è chiaro che si tratta di operazioni ben viste e sostenute dal governo di Pechino, e che se un gruppo cinese raggiungesse il controllo di una major hollywoodiana potrebbe influenzarla in qualche modo. È lecito, è legittimo, purché sia un buon affare".

 

di Antonio Talia

 

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