Pechino, 30 mar. - Colpevoli di corruzione e furto di segreti industriali, condannati a pene che vanno dai 7 ai 14 anni di reclusione: la corte del Tribunale Intermedio n.1 di Shanghai ha emesso ieri il verdetto a carico dei quattro dirigenti del colosso minerario australiano Rio Tinto arrestati nel luglio scorso. I tre cinesi Wang Yong, Liu Caikui e Ge Minqiang, e il cittadino australiano Stern Hu, hanno percepito tangenti dai proprietari di alcuni stabilimenti siderurgici del Paese di Mezzo in cambio di forniture stabili di metalli ferrosi, necessarie per raggiungere le quote di produzione previste; i quattro, inoltre, si sono avvalsi di informazioni sulla produzione ottenute illegalmente. Stern Hu, l'unico dei dirigenti con un passaporto straniero, è stato condannato a 10 anni di reclusione. "Si tratta di una sentenza dura, - ha dichiarato in un breve comunicato il ministro degli Esteri australiano Stephen Smith - e alcuni interrogativi su una parte del processo sono rimasti privi di risposte". Tutti i manager hanno negato di aver ricevuto somme così alte come quelle statuite dalla sentenza che, nel caso di Stern Hu, ammontano a quasi un milione di dollari. La sezione del procedimento relativa al furto di segreti industriali è stata condotta a porte chiuse, e il solo Liu Caikui si è proclamato colpevole del reato, ma si tratta di uno degli argomenti che hanno maggiormente attirato l'attenzione della comunità d'affari internazionale: molti imprenditori e manager stranieri lamentano che la linea tra l'ordinaria intelligence di mercato e quelle che per il diritto cinese costituiscono informazioni riservate non possa essere tracciata nettamente, lasciando così nell'incertezza tutte le compagnie estere che operano in Cina. Il caso, inoltre, mette in luce le tensioni che dominano il mercato globale di questo tipo di commodities - di cui il Dragone è il primo acquirente al mondo - dominato dalla brasiliana Vale e dagli australiani di Rio Tinto e BHP Billiton: secondo la sentenza le informazioni ottenute illecitamente dai quattro "hanno causato alle società cinesi danni per un miliardo di yuan" (più di un milione di euro) e "messo le imprese nazionali in una posizione svantaggiosa nei negoziati sul prezzo dei minerali ferrosi, conducendo alla sospensione delle trattative nel 2009"; molti analisti, però, osservano che quello dei metalli ferrosi costituisce un punto debole dell'enorme macchina industriale cinese, stretta tra la necessità di acquistare quante più risorse possibili per sostenere il suo vertiginoso sviluppo, e la frustrazione causata dall'impossibilità di strappare un prezzo speciale ai tre colossi del settore minerario. "In questo mercato, a eccezione del 2009, i produttori australiani hanno sempre goduto di una posizione di vantaggio nelle trattative nei confronti delle industrie siderurgiche cinesi e giapponesi" ha dichiarato in una nota Matthew Whittal, capo della sezione australiana degli stockbroker CLSA. I quattro executive erano stati arrestati nel luglio scorso, a solo un mese dal fallito tentativo di acquisizione di Rio Tinto da parte del gigante cinese Chinalco, e solo qualche settimana dopo il naufragio dei negoziati tra Pechino e i tre leader del settore per fissare un nuovo prezzo sulle forniture di lungo periodo: una tempistica che aveva alimentato i sospetti di una ritorsione, nonostante le secche smentite di Pechino. Che effetti avrà il verdetto sulle relazioni sino-australiane? "Non giustifichiamo in nessun modo la corruzione- ha detto ancora il ministro degli Esteri australiano Smith - ma mi sento vicino alla famiglia di Stern Hu e ribadisco che si tratta di una sentenza severa per gli standard australiani. L'accusa di furto di segreti industriali è molto discutibile, così come la decisione di non ammettere i nostri diplomatici ad una delle sedute del processo: tutto questo ha suscitato numerose domande nella comunità d'affari australiana e in quella internazionale. Anche se l'anno scorso i rapporti tra Cina e Australia sono stati percorsi da qualche tensione, non credo che il processo avrà delle ripercussioni. Continueremo ad ampliare le nostre relazioni con la Cina".
di Antonio Talia