DURBAN, VERTICE CLIMA CINA POCO OTTIMISTA

DURBAN, VERTICE CLIMA  CINA POCO OTTIMISTA

Pechino, 28 nov. – Per la Cina il vertice sul cambiamento climatico di Durban lascia poco spazio all'ottimismo. Lo ha dichiarato in un'intervista alla radio di stato Radio Cina Internazionale Su Wei, mandato da Pechino nella città Sudafricana come negoziatore. "Le prospettive non sono ottimistiche" ha detto senza scendere nei dettagli Su a proposito dei colloqui in corso e dei risultati previsti. Per trovare una soluzione ai problemi del surriscaldamento climatico, 190 delegazioni, sono riunite da oggi fino al 9 dicembre a Durban. Tra gli obiettivi del summit anche quello della creazione entro il 2020 di un fondo per il clima da 100 miliardi di dollari l'anno per aiutare i Paesi più poveri a far fronte ai costi della riduzione delle emissioni di gas serra.

 

Ma in evidenza nell'agenda di Durban c'è soprattutto il dopo-Kyoto. In scadenza a gennaio 2013, il protocollo firmato nella città giapponese nel 1997 non porta la firma di Usa e Cina che, da sole, sono responsabili dell'11% delle emissioni mondiali di Co2. Tra le possibili strade da seguire si pensa a un prolungamento del Protocollo, oppure a un regime transitorio fino al 2020, con una road map che magari permetta l'ingresso di Washington e Pechino.

 

Quanto alla prima ipotesi, la più improbabile secondo molti osservatori, gli Usa sembrano categorici: "Per noi non c'è alcun protocollo di Kyoto sul tavolo" ha detto secco il commissario speciale per i cambiamenti climatici statunitense Todd Stern. Per Washington infatti i limiti alle emissioni di gas serra - per ora previsti dal protocollo solo per i Paesi più industrializzati - devono necessariamente essere estesi anche alle nazioni in via di sviluppo, prima fra tutte la Cina, che lo scorso anno si è piazzata al primo posto come Paese più inquinante al mondo, superando anche gli Stati Uniti.

 

Favorevole all'estensione del protocollo è d'altro canto la Cina, portavoce delle nazioni in via di sviluppo secondo le quali sono le economie più sviluppate a dover giocare un ruolo di primo piano nella lotta al riscaldamento terrestre visto che le loro industrie inquinano l'atmosfera da più di 200 anni. Una posizione, la loro, condivisa anche dall'ONU. "Almeno - ha sottolineato Su nel corso dell'intervista radiofonica usando un tono positivo – tra le nazioni industrializzate, l'Ue si è detta favorevole a riconsiderare una seconda stagione del protocollo di Kyoto".

 

Secondo quanto si legge sull'agenzia di stampa cinese Xinhua, l'Europa ha fatto sapere che accetterà un prolungamento degli accordi del 1997 a patto che Cina e Usa mostrino serie intenzioni circa un taglio delle emissioni per i prossimi anni. Le fanno eco Norvegia, Nuova Zelanda, Australia e Svizzera. Stesso aut-aut anche da Canada, Russia e Giappone.

 

Intanto a rendere ancora più complesso il raggiungimento degli obiettivi del summit di quest'anno è la crisi economica con la conseguente difficoltà dei Paesi a impegnarsi in politiche onerose per l'ambiente. Un ostacolo in più che va ad aggiungersi al puntuale disaccordo tra Pechino e Washington e che rischia di portare a casa, dopo gli esiti della conferenza di Copenaghen del 2009 e di Cancun del 2010, un altro fallimento.


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