Un dossier destinato a far discutere: è il tradizionale "European Business in China Position Paper" appena pubblicato dalla Camera di Commercio Europea e giunto quest'anno alla nona edizione. In 600 pagine il rapporto contiene le oltre 500 raccomandazioni messe a punto dalle 1400 compagnie europee che fanno parte della Camera e dai 34 gruppi di studio che si sono occupati dei vari settori industriali nel corso dell'ultimo anno. Si tratta senza alcun dubbio del rapporto più polemico stilato negli ultimi anni: la Camera di Commercio Europea rimprovera alla Cina di avere eretto, negli ultimi 12 mesi, nuove barriere in parecchi settori differenti; di operare un rallentamento, e in alcuni casi anche una marcia indietro, sul fronte delle riforme economiche e lamenta infine un maggiore intervento del governo di Pechino sull'economia. La mano pesante si evince fin dalle prime righe introduttive sulle relazioni commerciali: "La Cina è importante per l'Europa; ma l'Europa è ancora più importante per la Cina". A sostegno di questa tesi, la Camera presenta diversi dati sugli scambi tra i due colossi: le esportazioni dell'Europa a 27 in Cina costituiscono solo lo 0.7% del PIL dell'Unione Europea; viceversa, le esportazioni del Dragone verso l'Unione ammontano al 7% del totale del PIL cinese in un anno. "Nel 2008 ben il 20% del totale dell'export cinese ha avuto l'Europa come destinazione finale – si legge nel rapporto - laddove gli Usa hanno costituito il 17% del totale e il Giappone il 9%". Ma è sul versante del trasferimento di tecnologie - particolarmente caro a Pechino - che la Camera assesta il colpo più diretto: ben il 40% delle tecnologie introdotte sul suolo cinese lo scorso anno hanno avuto origine da investimenti e importazioni targate UE. Per sottolineare l'importanza dell'Europa al di là della Grande Muraglia, il "Position Paper" cita infine un ultimo dato: un eventuale diminuzione dell'1% del PIL europeo avrebbe come conseguenza un -11.5% su quello cinese, laddove lo stesso calo del prodotto interno lordo statunitense si tradurrebbe in un - 9.8% per la Cina. "La Cina sembra voler dare il benvenuto agli investimenti stranieri, ma in realtà la porta è ancora mezza chiusa – aveva dichiarato l'ex commissario europeo Peter Mandelson ai soci della Camera nel settembre dell'anno scorso - anzi, in qualche caso, pare addirittura bloccata". Secondo il rapporto, "gli interventi di politica industriale che hanno causato restrizioni agli investimenti dall'estero sono aumentati nel corso degli ultimi tre anni". Ma su che cosa è fondato un giudizio così netto? Tra i vari casi pratici illustrati nel dossier, spicca ad esempio quello relativo ai servizi dei Computer Reservation Systems (o CRS). L'accesso al mercato del turismo cinese è da anni uno dei principali obiettivi di Amadeus, un sistema per la prenotazione e distribuzione globale di biglietti aerei elettronici con base a Madrid. Ma a quasi sette anni dalla sua entrata nella WTO, la Cina deve ancora mettere a punto gli standard per l'accesso libero e non discriminatorio degli operatori stranieri nel mercato del CRS, una mancanza di standard che, di fatto, impedisce ad Amadeus e ad altri provider simili di fornire i propri servizi alle agenzie di viaggi e alle compagnie aeree cinesi. La protezione della proprietà intellettuale è, da sempre, un'altra bestia nera per gli europei che vogliono sbarcare nel Paese di Mezzo: il 2009 è il primo anno di applicazione delle nuove norme sull'IPR, che puntano a fare di quella cinese un'economia basata sull'innovazione. Ma la Camera di Commercio Europea sottolinea come sempre più imprese europee siano restie a creare laboratori di ricerca e sviluppo su territorio cinese: durante i test per ottenere il certificato CCC (China Compulsory Certification, un requisito essenziale per l'accesso sul mercato cinese di 130 categorie di prodotti), vengono richieste agli operatori stranieri informazioni altamente confidenziali "che purtroppo, non di rado, sono filtrate fino a raggiungere i competitor cinesi delle imprese europee". Le recenti restrizioni e le severe sanzioni che si applicano all'esportazione di tecnologie, anche non strettamente militari, scoraggiano ulteriormente gli europei dallo stabilire in Cina i propri centri di Ricerca e Sviluppo. La Camera di Commercio Europea, insomma, ha lanciato un attacco frontale alle politiche cinesi? Il dossier ammette che molti degli sforzi intrapresi dalla Cina negli ultimi anni vanno nella direzione giusta, e cita ad esempio i progressi nel settore finanziario (con la possibilità per le banche straniere di commerciare corporate bond in renminbi), turistico (con la caduta di alcune barriere), nell'information technology (dove si è creata una migliore competizione grazie al processo di assegnazione delle licenze 3G) e sul fronte delle nuove leggi in materia di sicurezza alimentare e ambiente. Ma chiede anche, con una voce stentorea che non si sentiva da anni, "profondi cambiamenti strutturali". "Il futuro economico della Cina dipende da una nuova fase di aperture che dovrebbero avere lo stesso, enorme, impatto di quelle che trasformarono Shenzhen da un villaggio di pescatori a una città di 8 milioni di abitanti nel giro di pochi anni. E' il potere di mercati più liberi che ha condotto al processo di unificazione europea e alla pace e alla prosperità in Europa negli ultimi 50 anni. Si può dire lo stesso della Cina, che grazie alle aperture ha creato una società più stabile e prospera: per questo chiediamo, con le nostre raccomandazioni, di proseguire su questa strada". In passato l'Unione Europea è stata vista dalla Cina in diverse occasioni come una maestrina col ditino perennemente alzato. Facile immaginare che l'edizione 2009-2010 del'"European Business in China Position Paper" attirerà nuove polemiche.